di Silvia Chessa
Quello che avvince e suscita ammirazione, della particolare storia del film, è la posizione dell’autore, probabilmente coincidente con quella del giornalista Jacques – un eccezionale Vincent Lindon-: non obnubilata da una fede bigotta, né da un ateismo cinico ed inespugnabile, è una prospettiva piena di rispetto e senso di sospensione.
Una posizione illuminata, vagamente scettica ma curiosa, assolutamente libera, da ricercatore della verità. O meglio da colui che la vorrebbe liberare dai lacci e dalle pastoie che la tengono al buio. Ricorrono, a tal proposito, il tema del buio e del silenzio: buio e silenzio al quale vorrebbe auto condannarsi Jacques, nell’esordio del film, in conseguenza della morte tragica del collega, amico fraterno.
Con Anna, invece, fa il suo ingresso una epifania lenta e progressiva di luce, non assoluta e accecante, bensì moderata nel riverbero celeste degli occhi della bellissima Galatea Bellugi, che sono pezzi di cielo e al cielo rivolti molto spesso, con espressioni di grande chiarezza e nitida lucidità.
Non mancano, però, negli sguardi di candida azzurrità di Anna, momenti di penombra e imperscrutabile rabbuiamento, che vanno in parallelo con le insondabili complicazioni della incredibile vicenda, umana e spirituale, di cui è protagonista e messaggera.
La storia – un reporter di guerra famoso viene contattato dal Vaticano nonché incaricato di occuparsi di una delicata indagine su un’apparizione avuta da una novizia (Anna), nel sud della Francia, evento che ha già richiamato folle di pellegrini e si va diffondendo in maniera inarrestabile, allarmando il Vaticano – ha come chiave di lettura proprio la ricerca della verità, e l’esistenza o meno della stessa.
Forse, se verità esiste, per giungervi non bastano i tecnicismi di una commissione d’inchiesta, collegare meccanicamente cavetti ad una testa, propinare test psicologici (magari sorpassati) o sottoporre ad algidi interrogatori la testimone di un evento presumibilmente sovrannaturale. E neppure scovare prove o confutarle, rovistando nel passato delle persone coinvolte direttamente e non.
Ma è necessario uno sforzo di soavità, come magari sarebbe utile, a chi indaga, naufragare leopardianamente in quelle vastità galattiche e in quei panorami stellari che le musiche di Arvö Part e i temi di Delerue suggeriscono, tra misticismo e realtà astrale. Capire che quei mondi galattici non sono poi distanti dalle luci ed ombre e dagli abissi del nostro mondo interiore e, in nome di quelle vastità ambivalenti, che ci connotano come umani, deporre la politica cinica di mettere muri, incollare cartoni alle finestre di casa (come faceva Jacques), inventarsi immaginari confini o illusorie e confortevoli bugie (altra tematica cara a Xavier Giannoli). Perché questa attitudine, oltre ad allontanarci dalla verità che andiamo indagando, non farà che impedire alla nostra anima i miracoli di cui è naturalmente capace, posticipare al nostro corpo una guarigione alla quale già per sua natura tende ..rimandare alla nostra identità le riprese, i salti e gli incontri con l’altro di cui è all’altezza e desiderosa.
Ma la portata innovativa del film è che, mentre ci avvince con intrighi e misteri, costruisce una invisibile traccia che porterà tutto al suo rovesciamento, dal dubbio alla fede, dalla paura al coraggio, cosicché il destino di Jacques, di cercare la verità nei paesi in guerra, di tornare e di parlarne, si interseca con il destino di Anna, di sfuggire alle logiche materialiste per raccontare, semplicemente, una storia per conto di chi non è in grado di sostenere tale missione.
Nel caso specifico, per conto della sua migliore amica, (onde lasciare a lei la libertà di vivere un altro tipo di servizio).
E, su questa scala allargata, in questa indagine pluridirezionale, ogni ombra di menzogna si assottiglia ed ogni distanza si restringe fino ad annullarsi, come quella tra Anna e Mériem (una, simbolo celestiale, agnello sacrificale, l’altra, emblema terreno di amore concreto e incapacità di ridursi al sacrificio e di votarsi allo stato monacale), e la bugia di Anna passa in secondo piano di fronte al patto di lealtà che lega le due ragazze, che sono quasi la duplice espressione di una stessa realtà: il servizio agli altri.
Solo che Anna svolge la sua missione nel convento, laddove Mériem lo fa nel campo di detenzione, al confine con la Siria, (dal quale, ogni giorno, scrive lettere intense alla sua Anna), e dove, verso la fine del film, Jacques la raggiunge: la va a conoscere.
Jacques liberato dai suoi sensi di colpa e dal trauma, sostanziatosi in forti acufeni, che lo affliggeva, proprio all’orecchio (organo dell’ascolto, basilare nel rivelarsi/relazionarsi), emancipato dalla paura, diviene quasi devoto ad Anna per le domande che, morendo, ella gli ha lasciato come un dono
Quelle domande hanno la leggerezza di una piuma.. o delle tante piume che circolano in alcune fra le più belle scene del film: quelle dove Anna lavora con le altre suore per imbottire cuscini, di piume appunto.
In quella stanza, in quella stessa circostanza, Anna cade, deperita da un protratto digiuno, ed è come un dipinto di una santa la quale, nel pallore della sua virginea bellezza, sia espressione di spiritualità, delicatezza e persino sensualità.
Abbattuta da tutta la volgarità del mondo secolare (fatta di multimediali diavolerie, connessioni satellitari, santini e statuette da benedire), e dalla sua condizione di testimone sotto inchiesta, Anna si accascia in mezzo ad un soave volteggiare di piume..
Questa caduta, in relazione alla leggerezza delle piume, metaforicamente rimanda alla vuotezza delle persone intorno ad Anna, a partire dal suo padre superiore, padre Borrodine, fino al suo “ciarlatano” amico Anton.
Prevalgono, nel complesso, la tenerezza e poeticità di un registro mai puntiglioso, moraleggiante o enfatico, ma rigoroso, composto, e che indirizza verso atmosfere astrali e dimensioni galattiche, dove è facile smarrirsi ma anche ritrovarsi, come si ritrovano Jacques ed Anna, (ovvero ritrovano se stessi e poi si accostano uno all’altra), nello smarrimento delle anime circostanti…
Alla fine Jacques tornerà a casa meno tetro e vuoto, ma ricco di domande e gratitudine verso questa figura carismatica e misteriosa che gliele ha lasciate in eredità.
Avrà, altresì, metabolizzato il lutto, deposto l’icona sacra (frantumata e fotografata dal suo amico, prima di morire), affondando il ginocchio nel deserto, in modo lento e rituale, davanti ai gradini del monastero, (scena toccante e splendida, di chiusura del cerchio) e maturato un atteggiamento di dubbiosa onestà, in virtù dell’essersi aperto e lasciato coinvolgere più di chiunque altro della commissione, portavoce di un dubbio umile e dignitoso, che non si radica nella rabbia, ma fiorisce nella grazia, esprimibile con il bellissimo “Non lo so” di Emmanuel Carrère che suggella il romanzo “Il regno”, citato, dal regista, fra i testi che lo hanno ispirato per questo film.
L’APPARIZIONE
Cast: Vincent Lindon, Galatéa Bellugi, Patrick d’Assumçao, Elina Löwensohn, Claude Lévèque, Gérard Dessalles, Bruno Georis, Alicia Hava, Candice Bouchet
Regia e sceneggiatura: Xavier Giannoli
Fotografia: Eric Gautier A.F.C.
Montaggio: Cyril Nakache
Prodotto da: Olivier Delbosc e (associato) Emilien Bignon
Coprodotto da: Curiosa Films, France 3 Cinema, Memento Films..
Anno: 2018
Durata: 137 minuti