Nel quartiere ultraortodosso di Bnei Brak vive questo padre Ruzumi con la figlia di nove anni, da solo, dopo che la madre della bambina se n’è andata .
Il suo è uno strano lavoro, porta dei falsi mendicanti alle case dei ricchi perché raccontino storie strappalacrime e si facciano dare un’offerta che poi divideranno a metà. I falsi mendicanti non sono all’altezza della recitazione spesso e lui così dà loro lezioni e insegna loro come far scattare la commiserazione nei benefattori.
La figlia però ha paura a casa da sola, anche perché il padre, dopo i giri in auto, va a giocare in una sorta di casinò.
Il film scorre piuttosto lento ma approfondisce molto la psicologia dell’uomo messo alle strette dal comportamento e dalle reazioni della bambina. Il suo comportamento ondivago lo porta ad oscillare tra atteggiamenti diversi, diviso com’è tra la figlia e i compagni di avventure.
Forse per la prima volta vediamo gli ultraortodossi nella vita di tutti i giorni, la loro religiosità si evince solo dall’abbigliamento e, in questa vita quotidiana, li vediamo nei loro lati oscuri e nelle loro incertezze.
Vediamo la generosità del ricco elargita con fare distaccato e offensivo fino all’unica volta in cui Ruzumi racconta una storia vera, la sua.
Le atmosfere sono sempre cupe, anche nei momenti di apparente luce, come nei ristoranti dove sono solo uomini con cernecchi, kipa e cappelloni, mentre la luce acquista una funzione magica nel finale, davvero un momento di rara bravura registica, da antologia!
Driver di Yehonatan Indursky con Moshe Folkenflik, Manuel Elkaslassy Vardi. Israele, Francia, 2017. Dur. 92′.