“Quand l’oeil Tremble le cinema de Paolo Gioli” di Jean Michel Bouhours

E’ USCITO IN FRANCIA “QUAND L’OEIL TREMBLE LE CINEMA DE PAOLO GIOLI”, UN  VOLUME DEDICATO AL FILMAKER VENETO SCOMPARSA NEL 2022 E  MAESTRO DEL CINEMA ARTISTICO E SPERIMENTALE.

di Mimmo Mastrangelo 

Ostile  ad ogni processo  di mercato, Paolo Gioli è stato l’incantatore  che ha fatto del suo cinema una ricostruzione di fenomeni dove l’immagine  (fissa e in movimento) può scomporsi e ricomporsi in infinite scoperte, dettagli, articolazioni.  

Per Michel  Bouhours,  Gioli è stato “il  regista senza macchina da presa”, alla stregua degli artisti delle avanguardie storiche,  dipingeva o tratteggiava segni sulle pellicole, oppure  adottava la prassi del collage animando singole foto o “riproponendo ossessivamente una sola immagine”. Altro  metodo adottato da Gioli per andare all’essenza delle immagini fu quello stenopeico consistente nell’uso di  un dispositivo con un foro che gli permetteva  di riprendere nei particolari un soggetto  immobile  il quale nella proiezione acquisiva  movimento  proprio perché era stato esplorato da più prospettive (orizzontali e verticali) ed angolazioni.

                             E’ sorprendente  come in Francia la fotografia,  il cinema antinarrativo e sperimentale, meglio tutta l’arte per immagini di Paolo Gioli  (Sarzano  1942 – Lendinara 2022), continui ad avere una forte attenzione che, purtroppo, manca da noi. Non a caso, dopo la  pubblicazione  “Impressions sauvages” di  Philippe Dubois e Antonio  Somaini,  edita nel 2020  da Les presses du réel,  è uscito lo scorso mese per la  stessa casa editrice parigina “Quand l’oeil tremble le cinema de Paolo Gioli” ,  un volume di oltre quattrocento pagine curato da Jean Michel Bouhours,  che raccoglie  tre lunghissimi saggi oltre un’ intervista rilasciata dall’artista   veneto  qualche tempo prima  che si spegnesse.

Bilingue (francese ed inglese) nonché corredato da un vastissimo campionario di foto ed illustrazioni, il saggio analizza  la natura sperimentale  che ha marchiato per oltre un cinquantennio il cinema artistico ed antinarrativo di Gioli, un filmare il suo rimasto fedele al formato analogico e mai  incline a lasciarsi  calamitare dalle sirene delle nuove tecnologie e del digitale. Accostato a sperimentatori  del calibro di  Norman McLaren, Stan  Brakhage , Michael Snow, Paolo Gioli  ha usato delle  tecniche singolari con lo scopo di  fare delle immagini  in movimento un  medium del pensiero, il tramite di  una propria filosofia.

Da quando nel 1969   festival, sale e gallerie d’arte  hanno iniziato a proiettare i primissimi titoli come  “Tracce di tracce”, “Commutazioni con mutazioni”  e “Immagini  disturbate da un intenso parassita, Gioli confezionerà una cinquantina di lavori che lui ha sempre considerato “opere del tutto compiute piuttosto che degli esperimenti”. 

Dalle pagine   di Michel Bouhours  il cinema di Gioli si svela in una suggestiva avventura in cui il visibile è subordinato  ad una pulsione psichica e a moduli alternativi del raccontare.  Una scrittura quella del filmaker  del Polesine che appare come “un flusso filmico” metaforico qualificato da rotture, imprevisti, decontestualizzazioni e, principalmente, da un’assoluta libertà nel creare “un nuovo  di immagini totalmente altre”. 


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