di Gianni Quilici
Ci sono dei film importanti per qualità filmiche e sociali, che giornali e tivvù dovrebbero segnalare adeguatamente. Sono, invece, lasciati nelle zone d’ombra, per una ragione banale: sono poveri. Film di qualità, ma prodotti, distribuiti e pubblicizzati in economia, che hanno estrema difficoltà a raggiungere un pubblico più ampio, perché sono pellicole che non si prostituiscono e perché la critica di qualità ha sempre meno autorità e spazio.
Uno di questi notevoli film è, a mio parere, “La testimone” di Nader Saeivar, un iraniano (quanto sono bravi i regista iraniani!) al secondo lungometraggio realizzato in modo clandestino e presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, dove ha vinto il premio del pubblico. Ci troviamo di fronte ad un film che penso sia superiore al vincitore del Leone d’oro “La stanza accanto” di Pedro Almodovar, in cui un finale essenziale e lirico riscatta una prima parte sostanzialmente modesta.
Siamo a Teheran, nell’Iran di oggi. Un’anziana donna incorruttibile e determinata. Una figlia adottiva, che dirige una scuola di danza, ed ha, a sua volta, una figlia a lei simile e un marito arrivista, misogino e violento. Un femminicidio irrisolto e insabbiato da uno Stato repressivo, complice e ricattatorio.
Ecco, “La testimone” è un film essenziale e serrato, poetico e introspettivo, in cui la profondità dei rapporti sociali diventa una coraggiosa, diretta, spietata rappresentazione della condizione femminile sotto il regime islamico. Il film ruota intorno alla donna anziana , che, nel bisogno spasmodico di ottenere giustizia, diventa coraggiosamente oppositrice della polizia, che la intimidisce e la ricatta. Una donna interpretata magnificamente da Maryam Boobani, anche nei silenzi, per gli sguardi miti, dolorosi, rivoltosi. Gli altri personaggi sono scolpiti con nettezza e efficacia psicologica.
Il finale è un colpo di poesia imprevedibile, perché va oltre il realismo, diventa metafora di rivolta, quella rivolta che c’è stata, che c’è, esplicita o sotterranea, ancora oggi. Una rivolta rappresentata dalla bellezza della musica e della danza con cui la ragazza (la più giovane delle tre donne) esce a viso aperto, flessuosa, ondeggiando: dapprima dal palazzo paterno, schiudendo le tendine dalle finestre; poi dal cancello ricoperto da lamiere, fino alla strada, simbolo di libertà e di lotta per un’utopia possibile: la liberazione della donna iraniana e di conseguenza di tutte le donne.
La testimone – Shahed di Nader Saeivar. con Maryam Boobani, Nader Naderpour, Abbas Imani, Ghazal Shojaei, Hana Kamkar. – Germania, Austria, 2024, durata 100 minuti