“L’avamposto” di Edoardo Morabito

UN DOCU-FILM DI EDOARDO MORABITO SU CHRIS CLARK, UN “ECOGUERRIERO”  A DIFESA DELLA FORESTA AMAZZONICA CHE SOGNAVA DI  PORTARE  IN CONCERTO IL SUO AMICO DAVID GILMOUR E I  PINK FLOYD SUL CRETO DEL FIUME DEL VILLAGGIO DI XIXUAU’

                           di     Mimmo Mastrangelo

Chris si spense nel luglio del 2020 in una clinica  dell’odiata Edimburgo dove era in terapia per un tumore. Lui, però, avrebbe voluto morire  nel villaggio dello Xixuaù, nella foresta brasiliana dell’ Amazzonia,   dove era giunto oltre trent’anni prima  e  aveva coltivato  il sogno di farne una riserva protetta, “ un avamposto del progresso” basato sull’uguaglianza e sull’equilibrio tra natura e tecnologia, con gli abitanti del posto   chiamati a guardiani della foresta.  

Christopher Clark ( ma per tutti era solo Chris) è stato un personaggio “pazzesco” da protagonista di romanzi d’avventura e non per caso su di lui sono stati  scritti in tutto il mondo articoli e persino libri. Edoardo Morabito (uno dei nostri più talentuosi montatori)  conobbe   questo “egoguerriero” di origine scozzese e con studi in Italia qualche anno prima che si ammalasse, e con lui decise di girare, tra l’Amazzonia e Londra, il docu-film “L’avamposto” che, dopo  il passaggio a  Venezia  alle “Giornate degli Autori” e aver sorpreso in altre rassegne internazionali,  esce  il 26 febbraio nelle sale italiane su distribuzione di Luce Cinecittà.

Prodotto da Dugong Films e Rai Cinema,  “L’avamposto” si presenta  come  una storia personale con Clark che racconta la sua folle  decisione di raggiungere e stabilirsi in uno dei posti più antichi e incantati del pianeta, ma allo stesso tempo tra i più fragili. Per salvaguardare e mantenere integro l’ecosistema del posto  riisce a coinvolgere con cospicue donazioni fondazioni europee  e facoltosi privati. Ma non basta, e allora  decide di contattare per un progetto-evento  David Gilmour, chitarrista  dei Pink Floyd che aveva conosciuto negli anni ottanta a Londra.

L’idea di Chris è (era) geniale: far ritrovare la pace tra  Gilmour e  il bassista Roger Waters e portare la nota band inglese nello Xixuaù per un concerto la cui  diffusione in video avrebbe dovuto sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale e determinare  le condizioni per mettere in definitiva sicurezza  quel fazzoletto di foresta.

Il concerto dei Pink Floyd in Amazzonia è rimasto solo il sogno di un visionario, invece il docu-film scorrendo si trasforma un dialogo serrato:  Chris spiega al regista che grazie al suo impegno e alla rete di rapporti col mondo le condizioni di vita nel villaggio per un certo periodo sono migliorate,  è arrivata l’elettricità, sono stati aperti un laboratorio medico e una scuola. Poi tutto è sfumato anche perché si sono messi di traverso i governanti che hanno visto nell’avamposto di Xixuaù una minaccia ai loro piani e in Chris un pericoloso bioterrorista.

Il film del regista-montatore siciliano   si risolve quasi in un road-movie con artefice un Fitzcarraldo di questo tempo  il quale, piuttosto che lasciarsi prendere dalla tristezza  “ha preferito vedere il mondo così come  non è”, indicandoci le urgenze della lotta per la difesa dell’ecosistema. Pochi giorni prima  che Chris se ne andasse, il governo brasiliano ha istituito la riserva di Xixuaù mettendo così in sicurezza circa 630mila ettari di foresta. Chris avrà gioito in Paradiso, ma lì nella foresta  qualcuno  è rimasto imbrigliato nella sua utopia, forse nemmeno  sa della morte  e su una barca – come si vede nell’ultima e triste sequenza – aspetta che ritorni.


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