“Ararat” di Engin Kundag. Lucca Film Festival 2023

di Gianni Quilici

Alla fine della proiezione ho accennato timidamente ad un applauso . Nessuno mi ha seguito. Tuttavia nessuno si è alzato. Ho pensato: “Il film non è piaciuto, ma ha colpito”. Quelli con cui ho parlato, coloro che si occupano anche di film d’autore, mi hanno detto:” Sì tecnicamente è fatto bene, però . . . è un po’ lento”.

In effetti è lento. E’ lento, ma espressivo. Quindi non è lento, perché quella lentezza è sostanza del senso del film: la sua profondità. Ed è una profondità che è rappresentata da dialoghi di poche parole, sospese dentro silenzi prolungati, in un pathos che nasconde una storia, dei conflitti, dei malesseri, di cui non conosciamo le cause. Da qui nasce l’importanza che Engin Kundag, regista al suo primo lungometraggio, dà al silenzio, agli sguardi, ai campi controcampi, al conflitto sotteso nelle parole stesse. Per questo il film colpisce, perché questo pathos nasconde fatti tragici: violenze, sensi di colpa, tradimenti, comunque qualcosa che il film non rende esplicito.

Solo nel finale si intuisce il dramma vissuto dentro questo triangolo familiare: la figlia ribelle e compressa; il padre duro e dolente; la madre subalterna e infine ipocrita. Un finale asciutto, che ha lasciato il pubblico perplesso. Non c’è stata una spiegazione chiara. Soltanto un sogno e il padre sulla macchina assorto con lo sfondo dell’Ararat, la montagna sacra, la montagna del dolore e del silenzio.

“Ararat Regia di Engin Kundag. Un film con Rasim Jafarov, Merve Aksoy, Funda Rosenland. Genere Drammatico – Germania, 2023,


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