“Les Creatures” di Agnes Varda

ALLA MOSTRA  DI VENEZIA  NELLA SEZIONE DEI CLASSICI “LES CREATURES”, (1965) FILM CAPOLAVORO (MA MALAMENTE ACCOLTO DALLA CRITICA DELL’EPOCA) FIRMATO DA AGNES VARDA, “LA SIGNORA DELLA NOUVELLE VAGUE”.                                

     di Mimmo Mastrangelo

      Su una berlinetta decapottabile – che richiama tanto la Lancia Aurelia B-24 del “Sorpasso” (1962) di Dino Risi – una coppia procede su un’arteria di costiera. Lei (Catherine  Deneuve)  implora al marito: <<Ho paura della velocità, non andare  veloce, per favore non andare così veloce>>. E lui (Michel Piccoli), scrittore di romanzi polizieschi: << Per favore lasciami guidare, mi piace, quando vado veloce le mie idee vanno veloci. E’ come andare a bordo del mare…>>.  Già,  di lì a qualche istante, proprio in una cunetta  che costeggia il mare, l’auto  andrà a schiantarsi. I coniugi si salveranno, ma la donna per il trauma subito perderà la parola e il bambino portato in grembo.

 

      

       E’ questo l’inizio del film “Les creatures” (1966), o meglio una delle sequenze più cult della filmografia di Agnès Varda (Ixelles  1928 – Parigi  2019), colei che  fu lo sguardo al femminile e femminista della Nouvelle-vague, la “signora-fotografa” del cinema francese, la  prima donna a ricevere un oscar  alla carriera che in quasi settant’anni di attività – combinando ficton e documentario ed abbattendo le frontiere dell’analogico e del digitale – ha portato a compimento lavori  di indiscusso e contagioso piacere (intellettuale).

       La trama de “Les creatures”  ( Le creature) prosegue con la coppia  che si rifugia su un’isola: lei di nuovo incinta, vive sola attraverso i gesti ed uno sguardo intrigante, lui – invece – si cruccia intorno alle pagine del  romanzo che deve portare a termine. Ad un certo punto la realtà (del film) si mischia con la finzione del romanzo, i personaggi della fantasia si sovrappongono agli abitanti del posto. Lo scrittore-Piccoli sbanda, sembra perdere “la gestione” della storia, finché  non scopre che uno strano signore che vive nel faro dell’isola ne ha assunto il controllo dei personaggi e li fa muovere ed agire a suo piacimento,  comandandoli da una scacchiera elettronica. La scoperta da parte dello scrittore  dell’ azione occulta del balordo guardiano del faro, trasformerà il film in una disputa tra il bene e il male,  tra l’umanità e la disumanità, tra il costruire e il distruggere.

       Benché  a questo quarto lavoro della regista di origini belga fu  riconosciuto un “costrutto intellettuale”, va detto che venne stroncato  tanto in Francia quanto fuori da confini nazionali. Sui giornali uscirono giudizi negativi che, francamente,  appaiono poco consoni ad un’opera che si presenta con narrazione, sguardo audace ( e vede la partecipazione anche del nostro Nino Castelnuovo  e della bergmaniana Eva Dahlbeck ).

       Dunque, bene hanno fatto in Laguna Alberto Barbera e Federico Gironi ad inserire nella sezione “Venezia Classici” una copia della pellicola, restaurata di recente da “Ciné Tamaris e Chanel. Per il film di Agnès Varda lo schermo della Mostra numero 80 rappresenta un ritorno, in quanto venne già presentata  in concorso  nel 1966, ma vederla oggi, senza essere condizionati da precedenti giudizi, vuol dire (ri)scoprire il singolare e psicologico immaginario della Varda, nonché il suo approccio ad un cinema teorico e riflessivo che mette in disputa universi opposti.

 


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