nota di Gianni Quilici
Dovrei rivederlo due volte, ma già ho fatto fatica a vederlo una, ma penso che L’uomo del labirinto sia un film realizzato a freddo, sia pure con molta immaginazione, senza un senso che lo leghi ad una possibile verità o sentimento.
Lo scopo, consapevole o meno, mi è sembrato colpire psichicamente lo spettatore attraverso “colpi di scena, con personaggi diabolicamente bislacchi ( i conigli dall’occhio rosso rubino, la ragazza prostituta dal cuore d’oro, il ragazzo dalla faccia ustionata, il sagrestano sulla via del tramonto) con la grancassa della musica che sovraccarica artificialmente le situazioni e con una scenografia esasperata, che, in altro contesto, potrebbe avere un suo originale, inventivo fascino.
Ho l’impressione che la storia arzigogolata finisca per lasciare deluso, o almeno perplesso, anche quello spettatore che va nella sala per passare “due ore bene”, perché nel film manca qualsiasi processo identificativo e d’altra parte non mi pare che, per la difficoltà a seguire gli eventi, possa interessargli tanto cercare di sciogliere il puzzle che il film presenta alla fine.
Bravi soprattutto Toni Servillo, misurato nell’interpretare un investigatore determinato e disperato, e Dustin Hoffman nella sua paterna ambiguità.
L’UOMO DEL LABIRINTO
Regia di Donato Carrisi. Un film con Toni Servillo, Dustin Hoffman, Valentina Bellè, Vinicio Marchioni, Caterina Shulha. Italia, 2019, durata 130 minuti.