nota di Gianni Quilici
Schnabel è riuscito a rendere credibile un’artista conplesso come Van Gogh, obiettivo del film e impresa difficilissima.
Primo e soprattutto: per la straordinaria affinità fisiognomica e psichica che Willen Dafoe è riuscito a creare , esprimendo del pittore olandese il candore e la violenza, la stupefazione e la creazione, lo stordimento e la follia, il misticismo e l’acutezza estetica e, di ciò, soltanto un’analisi fenomenologica potrebbe dare conto.
Secondo: perché Schnabel ne ha visualizzato il tormento creativo, ma anche la consapevolezza estetica attraverso dialoghi efficaci ( uno degli sceneggiatori non a caso è Jean Claude-Carrière), un uso appropriato della soggettiva, montaggi sincopati, movimenti di macchina mobili e ravvicinati , che ne hanno reso efficacemente la frenetica creatività e lo strazio nevrotico.
Troppo invasiva e ridondante è, invece, la musica, soprattutto nella sequenza, in cui Van Gogh scopre la luce e i colori di Arles.
Terzo: per la scenografia che rende palpabili e veritiere cittadine e taverne, sentieri e paesaggi di fine ottocento.
Quarto: per gli attori di contorno: Emmanuelle Seigner, placida e luminosa, Oscar Isaac, un Gaugin impetuoso, affettuoso e geloso, e su tutti Niels Arestrup, in una strepitosa particina, mentre parla, mostruosamente erotico, incuriosito con Van Gogh, ambedue in una vasca, per il bagno settimanale nell’ospedale psichiatrico di Saint Remy.
Regia di Julian Schnabel
Cast: Willem Dafoe, Rupert Friend, Oscar Isaac, Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Stella Schnabel, Mads Mikkelsen, Niels Arestrup, Alan Aubert, Amira Casar, Lolita Chammah
Durata 110 minuti. Nazione USA