Quando l’11 novembre del 1958 la leucemia se lo portò via, André Bazin aveva soli quarant’anni e il giorno prima il “figlioccio Truffaut” aveva iniziato le riprese del suo primo lungometraggio “I quattrocento colpi”.
Lo si dica senza peli sulla lingua, senza Bazin non ci sarebbe stata “La nouvelle vague”. Fu lui il padre ispiratore di Truffaut, Chabrol, Godard, Rivette, Rohmer, i “ragazzi ribelli”, “i giovani e irrispettosi critici” che, prima di passare dietro alla macchina da presa, predicarono lo svecchiamento delle immagini e la necessità di superare il “cinema di papà” sulle pagine dei “Cahiers di Cinema”, ancora oggi la Bibbia dei cinefili che Bazin aveva fondato nel 1951 con Jacques Doniol-Valcroize e il milanese-sciliano Joseph-Marie Lo Duca.
Geniale ideologo, animatore culturale instancabile nella Parigi del secondo dopoguerra e, soprattutto, critico a tutto tondo fu Bazin di cui fino ad oggi solo una parte ristretta dei suoi articoli si conosce (almeno nel nostro Paese). Per il centenario della nascita e grazie ad un estenuante lavoro di ricerca, durato oltre un ventennio, da parte di Hervé Joubert-Laurencin, docente di Estetica e Storia del Cinema all’Università Parigi X, sono stati raccolti in un maestoso cofanetto di due volumi (Editions Macula) centinaia di scritti redatti tra il 1943 e il 1958.
Laurencin ci invita ad accostarci al “ critico totale”, al precursore che annunciò un decennio prima l’estetica autoriale dei film che sarebbero stati osannati negli anni sessanta, al teorico di un cinema che sostituisce il mondo che si accorda coi nostri desideri.
Intellettuale cattolico di sinistra, le sue tesi ancora oggi non sono per nulla datate, attestano le immagini in movimento ” come arte legata all’evoluzione della società e capace di superare i limiti dello spettacolo per diventare un grande teatro del mondo”.
Dai suoi lunghissimi articoli ( con suoi colleghi di redazione si scusava ridendo: “non ho avuto tempo per farli più corti” viene fuori la vocazione per un cinema inteso come scoperta del mondo e di declinazione pedagogica .
Per Truffaut era il maestro in assoluto della nuova critica, un recensore-recensore non afflitto da pregiudizi né da opinioni definitive, infatti, spesso, nel rivedere una pellicola gli capitava pure di cambiare parere. ” Nel suo lavoro di critico cinematografico – riconobbe Truffaut – era come un pesce nell’acqua. Nella sua opera non troverete mai un articolo feroce, uno di quei pezzi cattivi il cui spirito può essere riassunto in “che bello, è brutto, ma, al massimo, cioè al massimo della severità: l’intenzione era interessante, purtroppo è andata male ed ecco perchè…””.
Rileggendo Bazin oggi, è scontato non poter non tener in conto delle trasformazioni che in oltre mezzo secolo ci sono state nel cinema e nella realtà, del continuo crescere dell’influenza della televisione e poi della rete, ma allo stesso tempo si deve riconoscere che ha cantato l’idea (attualissima) di un cinema moderno in cui “il realismo oggettivo della cinepresa determina fortemente la sua estetica”.