di Mimmo Mastrangelo
“Basta con questo casino, con la contestazione! La verginità, per esempio, la verginità non è un difetto”. Può stare in questa telegrafica frase di Pietro Germi (Genova 1914 – Roma1974) tutta l’ ostilità del regista al ribellismo portato nelle piazza dai giovani tra la fine degli anni sessanta e il decennio successivo.
Nel 1970 Germi gira sulla Costiera Amalfitana, tra i vicoli e la piazzetta di Cetara, “Le castagne sono buone”, un film , tra l’altro, ostile nel comprendere le ragioni dei tumultuosi eventi del 68′. Un atteggiamento di disagio da parte del regista-attore ligure che trova comunanza con quello di altri registi della stessa generazione ( e nel caso si pensi al Luchino Visconti del film “Gruppo di famiglia in un interno”).
Penultima opera nella filmografia di Germi, “Le castagne sono buone” ha per protagonisti un giovanissimo e baffuto Gianni Morandi, che interpreta un regista fintamente cinico, e Stefania Casini nella parte di una studentessa sportiva ed orgogliosamente illibata. Dalla loro altalenante storia d’amore – musicata sulle note di Carlo Rustichelli e sceneggiata da Leo Benvenuti, Piero De Bernardi e Tullio Pinelli – il regista stila un manifesto controcorrente a quel clima di euforia e voglia di cambiamento che aveva investito la società e l’apparato culturale dell’epoca.
Un lavoro che viene eccessivamente maltrattato dalla critica anche per essere uscito nelle sale nel momento sbagliato, quando cioè i gusti dello spettatore sono orientati in tutt’altra direzione.
Il film non viene amato anche dallo stesso Germi che, tuttavia, lo propaganda come la risposta personale all’anticonformismo e al desiderio di ribellismo di Woodstock. Impostata sull’antinomia tra il caos della vita di città e la quiete del paese, la commedia vibra di un sentimento d’ insofferenza e antipatia verso le trasformazioni in seno la realtà.
Germi così palesa la sua repulsione alla modernità (le castagne del titolo vogliono evocare proprio un mondo di valori nel quale la società italiana non si riconosce più), ma ne approfitta per sferrare pure un attacco alla televisione responsabile di aver causato “la morte della conversazione e dell’intimità familiare”.
Evitando una grossolana azione riabilitativa, oggi strappare all’oblio e riproporre sugli schermi il film cetarese di Germi, potrebbe aiutare a mettere in campo ulteriori elementi di discussione e contributi critici sul 68′.