Un banale litigio, una parola di troppo e si innesca una polemica che sfocerà in tribunale in un primo processo e in un secondo appello. Quello che dobbiamo chiederci è quanto possiamo ferire con le parole, forse più che con le mani? Non dovremmo mai lasciare andar la lingua a ruota libera! Proprio in questi giorni di polemica sulla parola “razza” usata impropriamente, un film che nasce dalla parola “cane” dovrebbe farci riflettere e indubbiamente ci tocca in modo particolare.
Ma cosa sta dietro a queste parole? Qui ci sta un paese dilaniato, un paese che non ha ancora fatto i conti con questa nuova realtà dei palestinesi presenti in Libano. La “tragedia palestinese” viene ricordata continuamente, ma la guerra chiusa nel 1990, in realtà non è sopita negli animi dei cittadini e i due protagonisti (Toni libanese cristiano e Yasser palestinese) non possono accettare di vivere in pace.
L’odio si scatena da entrambe le parti e i processi diventano la miccia per incendiare un popolo diviso, ma soprattutto persone che hanno subito torti molto gravi e che quell’odio hanno tenuto dentro alimentandolo a poco a poco come un fuocherello. Entrambi hanno subito torti molto gravi che li hanno segnati nel profondo e non vogliono recedere dalle loro posizioni, ma in realtà il regista, e con lui la sua compagna e cosgeneggiatrice Joelle Touma, vogliono darci il quadro di un paese che non trova pace in questa nuova convivenza e che dovrebbe servirci da monito in un mondo sempre più multirazziale.
Lo spunto è nato da uno sfogo del regista in un momento di nervosismo, poi però si va molto al di là e si va a cercare il significato profondo di certe parole che sembrano uscire per caso, come un semplice lapsus, ma in realtà sono il risultato di ferite profonde.
Il film è stupendo, scorrevole e pulito, ha un ottimo copione ed è interpretato magnificamente, non esula mai dal suo intento, quello di mettere la parola fine a questa diatriba, di “voltare pagina”, come viene ripetuto più volte, di accettare questa realtà. Questo ce lo mostra in maniera quasi didascalica, nell’ambito pubblico dei processi e in quello privato, in un perfetto equilibrio tra le due parti.Anche in tribunale lo scontro tra padre e figlia rimanda a qualcosa d’altro, qualcosa che viene appena sfiorato. Tutti hanno le loro ferite, sarebbe bene leccarsele in silenzio prima di fomentare gesti che porteranno a far del male a un semplice fattorino.
Sullo sfondo una città ferita, Beirut, afosa e irrespirabile, coi suoi tetti bianchi coperti di parabole e di bidoni dell’acqua, con case scrostate e fili della luce che penzolano ovunque, mentre solo in lontananza si vede qualche grattacielo più moderno. Questo è il mondo in cui viviamo, bisogna accettarlo!
L’Insulto di Ziad Doueiri. con Adel Karam, Rita Hayek, Kamel El Basha, Christine Choueiri, Camille Salameh. Titolo originale: L’insulte. Libano, 2017, durata 113 minuti.