Meno “cinema-cinema” passerà sugli schermi e più avanzerà un certo pensiero debole connesso ad una politica reazionaria e razzista.
Serge Daney andava sostenendo questa sua tesi agli inizi degli anni novanta, poi abbiamo (tristemente) assistito che le cose hanno avuto un’evoluzione negativa proprio nel senso prospettato dal grande critico cinematografico francese di cui ricorrono i venticinque anni dalla morte.
In concomitanza di questo anniversario è uscito in Francia il numero cento di “Trafic”, la celebre rivista trimestrale (di solo testi e niente foto) che Daney fondò nel 1991 insieme a Jean Claude Biette, divenendo subito un osservatorio di culto per una generazione di critici tendenzialmente politicizzata, pronta a riversare la propria riflessione teorica ben oltre la visione di un film.
Rarissima figura di teorico, sin da quando entrò giovanissimo nella redazione dei “Cahiers du Cinéma” (ne divenne poi redattore capo) andò distinguendosi per una militanza che condensava tanto uno sconfinato amore per l’immagine quanto passione civile e “una percezione istantanea dello statuto estetico del film”. Successivamente editorialista e prima firma del cinema del quotidiano “Liberation”, raccontò con ostinazione di un cinema che aveva “il compito morale di scavare nel mondo, dare memoria e testimonianza”. Avverso a quella cultura incline al piacere immediato e a tutte le immagini dalla facile seduzione, di certo è sempre più una rarità trovare oggi critici e teorici con le sue vedute lungimiranti e provocatorie, quando morì (di Aids a soli 48 anni) Wim Wenders testimoniò accorato:<< Sono furibondo che una voce intelligente, appassionata e giusta debba tacere, mentre migliaia di altri critici continueranno a sommergerci con le loro opinioni miopi e le loro impressioni dettate dalla moda del giorno. Senza lo sguardo incorruttibile di Serge il livello della critica cinematografica si abbasserà ulteriormente>>.
Autore di numerose opere, in Italia sono stati tradotti per Il Castoro i saggi “Lo sguardo ostinato” (1995) con una bellissima prefazione di Goffredo Fofi, e “Il cinema e oltre” (1996). Quell’oltre di Serge Daney era costituito dalla politica, dalla letteratura, dal tennis, dalla televisione che aveva contribuito alla decadenza del grande schermo.
Un suo “oltre” era pure il nostro Paese del quale non riusciva a capacitarsi come era diventato così povero di film di qualità dopo aver prodotto nel dopoguerra la miglior cinematografia del mondo con De Sica, De Santis, Visconti e lo stesso Rossellini che amava moltissimo e di cui pubblicò un suo testo sul primo numero di “Trafic”.
Per la ricorrenza della scomparsa del critico parigino in Francia si svolgeranno diverse iniziative, in Italia al momento non è previsto nessuno appuntamento che ricordi questo “cine-figlio” e intellettuale trasversale ai cui scritti bisognerebbe tornare non fosse altro per non lasciar disperdere un intransigente “modus” di guardare, strappare alle immagini barlumi di verità. E moralità.