“ War Photographer” di Christian Frei

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Che cosa ha imparato dopo trent’anni di carriera?

«Ora so che le decisioni devono essere prese

secondo i nostri valori più alti, non secondo i più bassi.

Ho imparato la tolleranza, il rispetto e il coraggio.

E che qualche nemico deve essere sconfitto».

James Nachtwey

di Gianni Quilici

Vedendo questo film ho pensato ad una eventuale filmografia sul rapporto cinema-fotografia, un percorso ragionato, secondo due possibili direzioni: film documentaristici, film di fiction. Me lo hanno suggerito la mia memoria e la suggestione inviatami appunto da War Photographer, che mi è apparso come uno dei migliori, se non il migliore, nel suo genere.

Per tre ragioni.

Primo: James Nachtwey non è soltanto un grande fotografo di guerra (e non), perché ha l’occhio che coglie l’essenza della poesia nei suoi scatti anche quelli più crudi, ma anche perché ha percorso in lungo e largo i territori dove le contraddizioni sono più acute e devastanti. Le sue foto rappresentano, cioè, la ferocia inaudita dei conflitti di questi decenni nell’intero Pianeta: dall’America latina (per esempio in El Salvador, Nicaragua, Guatemala),  all’Africa nera ( per esempio in Somalia, Sudan, Rwanda, Sudafrica); dal Medio Oriente ( per esempio in Libano, Cisgordania, Striscia di Gaza, Israele) all’Asia ( per esempio in Afghanistan, Iraq, Indonesia, Thailandia, India, Sri Lanka, Filippine) alla stessa Europa ( per esempio in Russia, Bosnia, Cecenia, Kosovo, Romania).

wa1Secondo: James Nachtwey, così come appare nel film, presenta una personalità complessa e variegata: è assorbito quasi interamente sul suo lavoro ( dallo scatto, alla scelta delle foto, alla qualità della stampa); è oltremodo coraggioso, senza essere incosciente, perché fotografando in condizioni di altissimo rischio, sa di dover valutare ogni specifica situazione, controllando freddamente la paura; è sensibile ai problemi etici: dal rapporto di reciproca condivisione coi soggetti fotografati all’inevitabile conflitto morale di guadagnarsi da vivere fotografando il dolore e la sofferenza più atroce, e a volte, la stessa morte.

Terzo:  Christian Frey, il regista, ha montato una telecamera sopra il corpo della Canon di Nachtwey che mostra, allo stesso tempo, ciò su cui è puntato l’obiettivo e l’indice del fotografo sul tasto di scatto. Noi vediamo, quindi, da un lato una soggettiva: ciò che l’occhio di N. sta “mirando”,  dall’altro, in un montaggio alternato, una oggettiva: il contesto in cui N. è collocato.

Ci sono immagini, per esempio in Palestina, in cui il fotografo americano si trova in primissima linea a fianco dei palestinesi quasi fosse egli stesso un combattente, che invece di “sparare” colpi, scatta foto, spesso a raffica; oppure lo vediamo a Giava, in una miniera tra fumi e nuvole di zolfo, in un’aria irrespirabile, dove si aggirano giovani minatori come fantasmi senza maschere, casco, ne’ guanti.

In conclusione War Photographer è un documentario che si fa film, dove vive la figura alta e scattante di Nachtwey, con la sua voce scolpita e suadente; dove vivono alcune sue foto che hanno fatto epoca, diventando simbolo delle atrocità delle guerre e della fame; dove si riprende non solo Nachtwey nella sua azione fotografica, ma si cerca, più ambiziosamente, di entrare nel suo occhio, nel vedere ciò che è il focus del suo scatto.

War Photographer

Un film di Christian Frei. Con James Nachtwey, Christiane Amanpour, Hans-Hermann Klare, Christiane Breustedt. durata 96 min. – Svizzera, Germania, Francia 2001.


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