Avrebbe, secondo alcuni, dovuto rappresentare l’Italia agli Oscar; gli è stato preferito, per ragioni politiche fondamentalmente comprensibili, il docu-fiction Fuocammare di Gianfranco Rosi.
Indivisibili , terzo lungometraggio del regista casertano Edoardo De Angelis, classe 1978, si compiace nel dare dell’Italia meridionale, più esattamente l’affascinante quanto deturpatissimo litorale domizio, un’immagine di degrado totale, accresciuto dagli insediamenti dei migranti, già ben inseriti ma nei ruoli di puttane, braccianti sfruttati e creduloni e fedeli di un cristianesimo superstizioso, arcaico e primitivizzato.
Anche la storia delle due gemelle siamesi (in realtà attaccate solo per una coscia) si inserisce in questo degrado iperbolico, poiché il loro ruolo è proprio quello di essere portate a cantare in feste private o riti religiosi, per alimentare, a causa della loro stranezza, un’aura di para-santità: uno sfruttamento che consente alla loro famiglia disturbata di guadagnare (e sperperare) moltissimo e ad un prete locale alquanto inquietante, di alimentare il badget della sua parrocchia. Insomma il film dà, del Sud, un’immagine più vera del vero, in cui si calca a dismisura sul piano del grottesco al punto che questo registro soffoca gli altri, quelli drammatici e quelli sarcastici.
La forza di questo film sta tutta nella elevata qualità delle immagini e della fotografia, nella bravura di tutti gli attori (e, a mio avviso, in particolare, della madre, Antonia Truppo); la debolezza sta in una sceneggiatura che, soprattutto nella parte finale, quando le gemelle si svincolano dal giogo di sfruttamento al fine della loro separazione, diventa pochissimo verosimile, senza peraltro acquisire una vera qualità surreale.
Ma la debolezza di questo film sta soprattutto nella smisurata ambizione di fare un film su un filone ampiamente sfruttato nella storia del cinema, quello dei gemelli e dei gemelli indivisibili (si veda il contributo di Ignazio Senatore in “I registi della mente”, Falsopiano 2015) e di citare (o rimandare o copiare) più o meno esplicitamente, in diverse scene, ad autori come Jean Vigo, Buñuel, Pasolini, Cronenberg, Almodovar, Jodorowski, Lars von Trier e, diciamolo pure, Ciprì e Maresco.
L’augurio che possiamo fare a quest’ennesimo talento registico partenopeo e alla sua bravissima direttrice della fotografia, è di trovare sceneggiatori e produttori in grado di portarlo fuori da questo cinemino delle periferie degradate (che fanno pensare a quanto velleitari e millantatori siano i piani politici-urbanistici di rivalutazione), verso vicende meno scontate e meno sacrificate dal contesto. A tutti gli attori, di uscire anch’essi dalla partenopeità, sviluppando i loro talenti in ruoli più eclettici e universali.
Indivisibili, regia di Edoardo De Angelis, con Angela e Marianna Fontana, Antonia Truppo, Massimiliano Rossi, fotografia Ferran Peredes Rubio, Musiche originali Enzo Avitabile, Italia 2016