Protagonista il padre, un medico romeno, intorno al quale tutti gli altri personaggi ruotano: la moglie, presenza dimessa, ma viva con la quale da tempo l’uomo non ha più rapporti; l’amante più giovane, attraente e sensibile, che male sopporta di rimanere in attesa; la madre malata e sola, che tuttavia accudisce scrupolosamente; e soprattutto la figlia, per la quale desidera con tutte le sue forze una vita migliore. Infatti, se supererà l’esame con ottimi voti potrà frequentare l’università in Inghilterra, lasciando la Romania, paese corrotto, senza prospettive e senza futuro. Un tentativo di stupro mette in discussione questo progetto, che il padre ha coltivato per lei ossessivamente da sempre. Per questo sceglie, sia pure con riluttanza, una raccomandazione, pratica diffusa e quasi scontata per il piccolo boss, che la elargisce in questa cittadina della provincia romena. Da qui scatta una concatenazione di fatti che sembrano stringere il medico-padre in una morsa, in cui la legge e i sentimenti, in una tensione che cresce, rischiano di stritolarlo.
La grandezza del film è nella strutturazione del protagonista, capace di rigenerarsi agli occhi della figlia, riconoscendo silenziosamente la sua pretenziosa autorità; nella determinazione con cui conserva la sua dignità nei confronti del potere che lo sta indagando; nella scrittura spoglia e densa da thriller sentimentale e morale, che forse ricorda, più che Hitchcock, il regista iraniano di Una separazione Farhadi; nel cast di attori e attrici ben plasmati nei loro ruoli, con una particolare menzione per Adrian Titieni, il padre, ruvido e sensibile, angosciato e appassionato.
Il limite? Credo che abbia ragione Goffredo Fofi quando osserva su Internazionale che “questo grande regista poteva realizzare un capolavoro se avesse tagliato la parte finale accettando la lezione di una storia che non sembra avere sbocchi positivi”. In altri termini il finale di riconciliazione, aperto alla speranza, ci può intenerire come spettatori, in un film, dove, però, di speranza non se ne vede: la generazione dei padri del dopo Ceaușescu ,ha, infatti, perso, mentre i figli, la nuova generazione appaiono devitalizzati, se non assenti.
Premio alla regia al Festival di Cannes 2016 ex aequo con Personal Shopper di Olivier Assayas.
UN PADRE, UNA FIGLIA (Bacalaureat)
Regia: Cristian Mungiu
Interpreti: Adrian Titieni, Maria Dragus, Lia Bugnar, Malina Malovici, Vlad Ivanov.
Sceneggiatura: Cristian Mungiu
Fotografia: Tudor Vladimir Panduru
Montaggio: Mircea Olteanu
Scenografia: Simona Paduretu
Arredamento: Anca Perja
Costumi: Brândusa Ioan.
Romania, Francia, Belgio 2016. Durata: 126’