“Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman

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di Gianni Quilici

Vidi questo film quando la TV lo trasmise molti anni fa, 5 ore distribuite in diverse serate, e mi colpì moltissimo.  L’ho rivisto nella versione cinematografica ridotta a tre ore ed ho pensato “ è un film attualissimo”, perché scava nei rapporti di una coppia nel corso di una ventina di anni e ne rappresenta le continue trasformazioni, compresa pure una delle ragioni profonde del femminicidio.  In questo senso è un film anche pedagogico, che può aiutare a comprendere ciò che il protagonista uomo denuncia di sé, prima di esplodere violentemente:

“Non siamo che analfabeti dal punto di vista sentimentale. Ci hanno insegnato tutto, ma non ci hanno insegnato una sola parola sulla nostra anima. L’ignoranza su noi stessi è praticamente totale”.

Scene di un matrimonio è diviso in sei capitoli. Senza stare a descriverli analiticamente, ma cercando di cogliere l’essenziale, Bergman ci rappresenta una coppia che apparentemente sembra felice e appagata. In realtà già da subito si avverte che non è così, che ci sono crepe fra loro che essi stessi volontaristicamente si nascondono. Fino a quando scoppia la crisi. Lui, infatti, si è innamorato di un’altra donna, una studentessa 23enne assai più giovane: lo confessa alla moglie e, seduta stante, decide di lasciarla insieme alle figlie. Lei cerca di fermalo, lo implora, lo trattiene, si umilia. Niente da fare. Lui se ne va sbattendo la porta.

Ritroviamo l’uomo dopo qualche anno deluso, disamorato, fallito ai suoi stessi occhi. Lei, invece, da donna dipendente e servizievole fino al masochismo, si è faticosamente  liberata, divenendo più sicura, determinata, attraente. Con i rapporti di forza mutati esplode l’odio e la violenza di lui. Una violenza complessa, che nasce dal groviglio di malessere accumulato in seguito a scelte sbagliate e che si scarica contro di lei libera e seducente e che lo sta, anche legalmente, abbandonando.

Ultimo capitolo: dopo una scena di violenza maschile quasi insopportabile, ecco ripresa dall’alto, in campo lungo, lei su una strada che si avvicina ad una macchina. Di nuovo insieme conversano amabilmente, ambedue risposati ed ora, ben presto capiamo, amanti. Nella casa in riva al mare, prestatagli dall’amico, lei gli racconta del marito,  che è stata attratta da lui soprattutto sessualmente, che con lui ha scoperto davvero il piacere. Lui si adombra, non sopporta questa confessione, che implicitamente lo svaluta. Lei lascia perdere.

Nel letto la donna ha un incubo: “Dovevo attraversare un punto pericoloso. Non avevo le mani e sprofondavo nella sabbia”. Incubo che rimane senza parole.

Chiede, invece, a lui:

”Credi che viviamo in una totale confusione? Credi che dentro di noi si abbia paura perché non sappiamo dove aggrapparci? Non si è perso qualcosa di importante? Credo che in fondo c’è il rimpianto di non aver amato nessuno e che nessuno mi abbia amato”

Non ci sono risposte a questi interrogativi e alla conclusione che lei traccia.

E quindi non resta a loro che augurarsi una “buona notte amore”. Un finale sospeso, una coppia ancora irrisolta.

b 2Con “Scene da un matrimonio” Bergman realizza, quindi, un film nudo, senza scenografie, senza artifici,  diretto, crudo, felice e violento come il flusso della vita, palpitante e crudele, caotico e magmatico. “Uno fra i più bei testi del cinema moderno”, non a caso, scrisse Olivier Assayas nel 1990. (1), che si presta ad una disamina analitica per i continui sottostesti psicologici che esso presenta; provocatorio e stimolante, inoltre, per lo spettatore che voglia, attraverso esso, interrogarsi sui suoi rapporti sentimentali.

Ed è un film teatrale molto cinematografico.

Teatrale, perché si svolge quasi completamente in interni con la presenza quasi ininterrotta di loro due, uno di fronte all’altro.

E’ tuttavia molto cinematografico, perché le loro parole e i silenzi sono evidenziati da campi-controcampi dei loro primi, primissimi piani con dettagli, che sottolineano magnificamente i loro sentimenti, compreso ciò che le parole nascondono.

E come sempre avviene nei film del regista svedese, gli attori sono eccezionali.

Scrive a questo proposito Fiorenzo Viscidi:” Le loro facce, specialmente quella della Ullmann, assumono tali e tanti cambiamenti nei lineamenti, nel movimento degli occhi, nei tagli della bocca, nei cenni, nelle sfumature psicologiche più raffinate, da costituire l’esempio più chiaro di una cinematografia come massima possibilità di raffigurazione della mutevolezza degli stati d’animo legati alla complessità delle situazione in cui i protagonisti si vengono a trovare”. (2)

1. Olivier Assayas e Stig Biorkman. Conversazione con Bergman. Lindau Cinema. P. 73

2. Fiorenzo Viscidi. Scene da un matrimonio. “CM” n. 16 del 1975. p. 60

Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman.

Con Bibi Andersson, Erland Josephson, Liv Ullmann, Jan Malmsjö, Anita Wall.

Svezia 1973.  Dur: 155 min.


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