“Il cinema è un’arte, una grande arte, che ha potuto produrre i suoi capolavori quasi sempre semiclandestinamente o per caso, o cambiando all’ultimo momento le carte in tavola e imbrogliando con doveroso cinismo le intenzioni o la poca intelligenza di chi commissionava macchine da soldi…”
Valerio Zurlini (Bologna 1926- Verona 1982) la pensava così, e non aveva alcun torto, in fondo tante belle opere cinematografiche sono state prodotte perché il piano della produzione, inizialmente stabilito, prendeva vie-altre a riprese in corso ( si pensi ai capolavori di Roberto Rossellini).
A Valerio Zurlini, in questi giorni la Festa del Cinema di Roma, in ricorrenza dei novant’anni dalla nascita, rende omaggio con un retrospettiva focalizzando l’attenzione su una filmografia che si compendia in fondo solo di otto lungometraggi: da “Le ragazze di San Frediano” del 1954 a “Il deserto dei tartari” di ventidue anni dopo. Ciononostante l’esigua produzione, a Zurlini va dato atto di essere stato un maestro dotato come pochi di una sensibilità e un talento narrativo che hanno fatto da “garanzia operativa”, specie per le imprese di trasposizione sul grande schermo della scrittura romanzata (Pratolini, Pirro, Buzzati).
Passava per un cineasta colto, interprete di un cinema dei sentimenti, della memoria e della condotta morale, ma Zurlini è stato su tutto il ” poeta che perfora le ragioni dell’Essere e del dover essere con l’arma del sentimento , chiedendo ragione sui protagonisti dell’inevitabile conflitto che si genera fra motivazione morale e flusso degli affetti…Il cinema di Zurlini ci riempe di malinconico sconforto, ma ci illumina della gioia interiore, della forza emotiva, della magica purezza di una preziosa consapevolezza”.
Guida sicura per gli attori, riusciva a tirare da loro tutto quello che desiderava, e i risultati si sono visti eccome. Si pensi a Eleonora Rossi Drago ne “L’estate violenta” (1959) o Claudia Cardinale ne “La ragazza con la valigia” (1961) o gli stessi Marcello Mastroianni e Jacques Perrin in “Cronaca Familiare” (1962).”Cerco sempre di fare molta attenzione alla direzione degli attori – dirà in un’intervista al critico francese Jean Gilì – cerco sempre di trarre profitto da ciò che gli attori mi possono dare. Sono un regista capace di indicare tutto…Credo di conoscere bene ciò che può fare un attore…Sentendo la mia verginità si metta anche lui in una situazione così vergine da potersi in primo luogo lasciar convincere da me”.
In equilibrio tra quello di Visconti e Antonioni , il cinema di Valerio Zurlini è incline tra notazioni ambientali e storico-sociale, ritratti psicologici e suggestioni emotive, tra lampi di lirismo e ricerca dello stile, ma, forse, la componente di maggior fascino dei suoi film è senz’altro l’ attinenza fra gli stati d’animo dei personaggi e i paesaggi.
Sono pellicole costruite su una forte connotazione dei luoghi tanto “Le ragazze di San Frediano” ambientato nel famoso quartiere popolare della Firenze Oltrarno, quanto l’altro pratoliniano “Cronaca familiare” vincitore del Leone d’oro al Festival di Venezia in ex-aequo con “L’infanzia di Ivan” di Andrej Tarkovsky. Lo stesso di può dire tanto de “La prima notte di quiete” (1972) dove è presente Alain Delon, eroe maledetto, con un cappotto di cammello che rimarrà memorabile, quanto de “Il deserto dei tartari” (1976), pellicola di un realismo magico impeccabile con i lavori esterni eseguiti in una fortezza abbandonata di Bam in Iran.
Ma a parte le location se si vuol trovare una sintesi sul Zurlini va riconosciuto che ” la sua avventura cinematografica resta come sospesa tra la trasformazione della messa in scena e il ricorso ai vecchi supporti dell’ideologia o del messaggio etico. Questa ricchezza contraddittoria degli elementi, questo eclettismo delle determinazioni e degli assunti , questa sovrapposizione di poetiche segnano l’avventura di Zurlini anche nelle sue irresolutezze…”.