“Fuocoammare” di Gianfranco Rosi

indexdi Maddalena Ferrari

Il film è frutto di un lavoro di studio ed esperienza: Rosi è stato un anno a Lampedusa ed ha passato anche un lungo periodo su una nave militare; ne è risultata un’esperienza di scelta e condivisione nei confronti di quelle che sono le due anime del documentario: l’arrivo dei migranti e la vita degli abitanti dell’isola, due mondi quasi del tutto separati.

Il primo fatto si articola in diversi momenti , dal salvataggio, preceduto dalla richiesta di aiuto alla capitaneria, alla prima identificazione, al centro di accoglienza.

Le fasi della vicenda dei migranti si alternano a squarci di esistenza di lampedusani: un bambino, Samuele, che ha la passione della fionda e sa imitare il verso degli uccelli, va in giro con un amico e vive con lo zio pescatore e la nonna; due coniugi anziani rimasti soli, un pescatore subacqueo e infine il conduttore di una radio locale, che riceve e trasmette messaggi, abbinati a delle canzoni.

L’eccezionalità epocale dei flussi migratori e la normalità del quotidiano procedono in parallelo, differenziate anche dal linguaggio cinematografico:  un approccio crudamente documentario frammentato e diseguale si contrappone ad un procedimento più lineare, che nel caso di Samuele tende a farsi racconto.

I migranti non hanno voce, se non il centroafricano, che narra la sua odissea, a se stesso e ai suoi compagni più che a noi. Le scene che li riguardano hanno i rumori dei fatti. O il silenzio della tragedia, dei morti nella stiva e,  successivamente, dei sacchi con i loro corpi presidiati sul ponte dagli uomini del salvataggio, imbacuccati nelle loro tute bianche.

Gli isolani vivono la consuetudine dei gesti anche banali di ogni giorno, che lascia trapelare inquietudini, solitudine, perdite. Samuele ha un occhio “pigro” e soffre il mal di mare; è ansioso, sembra, e si fa visitare dal medico. Il medico di Lampedusa, Pietro Bartolo, è una persona dolce e protettiva ed è l’unico tramite fra i residenti e i migranti: lo vediamo mentre fa l’ecografia ad una migrante incinta e le parla con dolcezza e competenza.

Le due anime del film, che nella loro separatezza potrebbero apparire tanto inconciliabili e contraddittorie da limitarne il senso, in realtà si danno luce a vicenda e si propongono di dare una scossa a sicurezze e timori.

Questo valore etico-politico non è disgiunto dal rigore estetico, che rende gli episodi densi di significato.

Il tempo del vivere è il tempo del film, che riprende con camera fissa episodi, accompagnando il loro lento evolversi; questo protrarsi del tempo non è però contemplativo: fissa un momento all’interno di un processo, crea aspettativa, lasciando fuori ogni conclusione possibile.

Un esempio è dato dalla sequenza iniziale, dove Samuele è nel bosco, tra i suoi tenui rumori; cammina, si ferma, sale su un ramo…; oppure dall’episodio sulla nave, in cui un militare sul ponte, visto di spalle dall’apertura di un hangar, fa i gesti convenzionali per dirigere la partenza dell’elicottero; oppure, ancora, dal racconto-canto rap del migrante, che, ripreso in primo piano fisso di profilo, rievoca tutte le peripezie sue e di tanti altri vissute per arrivare fin lì dal centro dell’Africa: e si potrebbe continuare.

Fuocoammare


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