“Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese

perfetti-sconosciuti-620x420di Riccardo Dalle Luche

Sarà forse per il perdurare di una crisi che sembra non avere fine e per i continui cambiamenti sociali ed etici di questi tempi, che in Italia si stanno producendo, incessantemente, commedie psicologiche, una variante più consapevole e raffinata della tradizionale “commedia all’italiana” . In questi film, che a volte sembrano scritti da psicologi o psichiatri,  e che spesso hanno come personaggi una figura di psicoterapeuta, la piccola borghesia scolarizzata, sempre più spaesata e conflittualizzata, si rivede come in uno specchio: la visione di un film ha in se un qualcosa di personale e coinvolgente che, sotto certi aspetti, si può assimilare ad una seduta di analisi. Dopo “Dobbiamo parlare” di Sergio Rubino, è ora “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese, ad inserirsi felicemente in questo filone con un ottimo riscontro di incassi e di critica. Tutti sanno che il film è centrato sul gioco al massacro nato dall’idea di rendere pubblici telefonate e messaggi dei propri smartphone durante una cena tra amici. Ma il vero fascino di questo espediente narrativo, non facile da gestire, ed a volte un po’ troppo carico e grottesco, come nella tradizione della commedia all’italiana, è quello di riportare alla luce, in versione moderna, il tema del peccato.

Infatti nei segreti di questi telefonini, vere “scatole nere” delle nostre esistenze, sono registrati, come prove testimoniali, molti degli elementi socialmente inammissibili dei nostri comportamenti sociali che un tempo trovavano ascolto ed assoluzione nei confessionali, oppure nelle stanze di analisi. Contrariamente a queste pratiche storiche “contenitive”, lo smartphone, invece, è uno strumento “diabolico”, nel senso etimologico del dia-ballein, dello scindere, del consentire la scissione indolore di parti di sè senza richiedere alcun interlocutore che le ricontenga e ne annulli le inevitabili ripercussioni emotive. Se nessuno sa, non esiste peccato, né esiste sofferenza emotive, né autocritica. I nostri peccati sono garantiti dalla privacy e dai PIN degli smarphone. Chiunque,  per un motivo o per l’altro, grazie all’uso privato e segreto del telefonino, mette in atto “pensieri, opere o omissioni” socialmente inammissibili (peccaminosi), dimostrando come, ai nostri tempi, esista solo l’individuo, con i suoi bisogni compensabili col comportamento o con la tecnica, ed ogni sorta di legame sociale sia sostanzialmente strumentale ed apparente. Qualcuno preferisce perfino, con uno scambio di telefonino,  assumersi i peccati degli altri piuttosto che ammettere i propri, sia pure con risultati non risolutivi.

La sfilacciatura delle relazioni non solo travolge le coppie di coniugi e di amici, ma anche i legami di sangue con i figli, in una sorta di bellum contra omnes governato dalle pulsioni primarie. Scissioni, manipolazioni, negazioni sono le armi con cui si gioca su questo campo di battaglia nel quale nessuno si può fidare di nessun altro e nel quale una serie di parole, come “adulto”, “amico”, “coniuge”, “amante” “genitore” sono messe fortemente in crisi nel loro valore tradizionale.

Lo psicodramma che si genera nel film ha, però, alla fine, ancora una volta un potere assolvente, e, dopo le rivelazioni di una notte, come in “Dobbiamo parlare”, tutto continua esattamente come prima, come se l’”Io egemone” di ciascun personaggio riprendesse il controllo sulle proprie parti dissociate. Non è così, spesso, nella vita vera. Ma se il cinema la rispecchiasse del tutto, allora non vedremmo sugli schermi della commedie e non potremmo ridere di noi stessi.

5fbde2_4669419a39be406dbbfd51dffaccc26dPerfetti sconosciuti

di Paolo Genovese,

con Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastrandrea, Kasia Smutiniak, Alba Rohrwacher.

Ita, 2016.


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