Non si può fare un film scavalcando il personaggio e usando solo un volto, in questo caso quello di Joaquin Phoenix. Ma questo passo è stato fatto proprio da quel grande creatore di personaggi che è Woody Allen.
Dopo aver trascorso tutte le tipologie umane, Woody approda al volto di Phoenix e ne rimane esterrefatto. Non può piegarlo a personaggio, neppure a personaggio trasgressivo e maledetto. Phoenix resta Phoenix per tutta la durata del film e alla fine stanca lo spettatore che chiede una vicenda e dei personaggi, della motivazioni al delitto o all’azione umanitaria. Tutto questo manca in The Irrational Man, film che doveva segnare un incontro fra regista e protagonista che poteva costituire una tappa importante nella filmografia di Woody Allen e che invece segna una grossa pausa di arresto creativo del regista ormai ottantenne.
Sappiamo che i temi dostoieschiani lo hanno sempre affascinato e che gli hanno suggerito intrecci plausibili anche in epoca postmoderna, com’è stato il caso di Match Point . Sappiamo che lui è bravissimo nell’individuare quei certi moventi anche apparentemente futili, ma che possono diventare centrali in una storia.
In questo suo ultimo film direi che non c’è traccia di tutto ciò.
Il personaggio dell’intellettuale nei film americani in genere viene populisticamente semplificato fino a diventare uno stereotipo degno della fantasia di un liceale. E Woody Allen, che pure si era cimentato in Basta che funzioni con una figura d’intellettuale di tutto rispetto, in questo film mostra delle lezioni di filosofia del professor Lucas (da Kant a Sartre non si risparmia nessuno) che sono di una piattezza sconcertante, e che l’allieva diligente se ne innamori depone solo a svantaggio dell’intelligenza di lei. Una lei di cui non riusciamo a capire il fascino e che posta a fianco di Phoenix mostra una totale assenza di carisma, quel carisma in grado di capovolgere il paradigma classico, quello del trasgressivo anarcoide che mette scompiglio nei sentimenti piccolo borghesi della diciottenne. Qui Woody Allen ha voluto creare un personaggio femminile perbenista che sconvolge con la sua trasgressione il professore rivoluzionario, il quale per un buon tratto di film non fa che difendersi dagli assalti della giovinetta, accampando lui delle motivazioni borghesi: hai già un fidanzato straordinario e cose del genere.
Per rovesciare questo paradigma classico però non basta quel personaggio acqua e sapone, ci vuole una nuova Lolita.
E infine c’è la motivazione e la preparazione del delitto, ambedue molto fragili. Non si uccide un giudice perché sappiamo che è corrotto e della cui corruzione abbiamo una vaga testimonianza da parte di una perfetta sconosciuta. Un giudice lo ammazzi se questa perfetta sconosciuta è invece tua sorella o comunque un’amica intima e non prepari il delitto introducendoti alla cieca in un laboratorio di chimica dove il cianuro è a portata di mano e via così per soluzioni facili fino al delitto. Tutto ciò ci fa pensare con nostalgia a Match Point o a Sogni e delitti con tutta la loro complicata e accidentata trafila per giungere all’assassinio. Ed è in questi film che Woody Allen ripropone una moderna lettura di Dostoevskij ben convincente, non in The Irrational Man dove Dostoevskij viene solo citato dalla piccola liceale che dice di averlo letto tutto. Figuriamoci!
Irrational Man di Woody Allen. Con Jamie Blackley, Joaquin Phoenix, Parker Posey, Emma Stone, Meredith Hagner, durata 96 min. – USA 2015.