Inizio fulminante e incisivo, con stacchi di montaggio netti ben dosati.
L’incontro tra lui e lei, in un gabinetto che non si apre, claustrofobico e puzzolente prima, divertente poi; l’amore dopo nudi in un letto; il matrimonio infine festoso, danzante e avvolgente, lui che canta Tu si na cosa grande, lei che lo guarda con occhi radiosi e ammiccanti.
Con la faticosa e dolorosa nascita del figlio inizia progressivamente la tragedia.
Lei ha alle spalle un’esistenza difficile: orfana precoce di madre, con un padre con cui non ha da tempo rapporti, proietta maniacalmente sul figlio tutta se stessa, come se esso fosse sua proprietà privata, imponendogli regole alimentari che ne impediscono la crescita, annullando anche la propria sessualità.
Lui, il marito, comprende questa fragilità e questo bisogno psicologico totalizzante, smorza il conflitto, assecondandola fino a quando è possibile. Quando pensa che non sia più possibile, perché la vita del bambino mal nutrito, costantemente chiuso nelle mura domestiche, è a rischio, a quel punto, sceglie decisamente il bambino.
Il finale è imprevedibile e discutibile, comunque essenziale ed implicito.
La tragedia quotidiana ed estrema viene rappresentata fino in fondo, in modo avvincente e delicato per il tipo di sguardo partecipe e insieme distaccato.
E’ un film paradossalmente femminista, in cui i ruoli tradizionali vengono rovesciati: è l’uomo-padre più comprensivo, duttile, sensibile di lei-madre possessiva, esclusiva e rigida. Saverio Costanzo ha l’accortezza di non giudicarla, di lasciare fuori campo l’ombra del suo passato, che l’ha segnata profondamente, lasciandola sospesa ed aperta alla comprensione dello spettatore, che va oltre i fatti.
Un film coraggioso e sottile per il tema e per il modo con cui è stato trattato. Un buon film, ma non un grande film.
Poteva forse esserlo, se il protagonista avesse avuto la statura di mettere in discussione le ragioni profonde della rigidezza di lei, oltre che con la sensibilità dimostrata nel film, anche con l’acutezza psicologica e ideologica che ciò avrebbe comportato. Ma questo sarebbe stato un altro film.
Indovinata la musica di Nicola Piovani, che sottolinea, senza invadere, e incisiva la fotografia di Fabio Cianchetti. Straordinari Adam Driver e Alba Rohrwacher, insigniti entrambi della coppa Volpi all’ultima Mostra di Venezia.
Hungry Heart
Regia Saverio Costanzo
Sceneggiatura Saverio Costanzo, dal romanzo di Marco Franzoso
Fotografia Fabio Cianchetti
Montaggio Francesca Calvelli
Musiche Nicola Piovani
Scenografia Amy Williams
Costumi Antonella Cannarozzi
Interpreti e personaggi
Adam Driver: Jude
Alba Rohrwacher: Mina
Roberta Maxwell: Anne
Jake Weber: Dr. Bill
Paese di produzione Italia, 2014
Durata 109 min