Sono strani i meccanismi ed i percorsi attraverso i quali si riscoprono i film. Stavamo rivedendo per una nostra ricerca i vecchi film nei quali compare Marilyn Monroe ai suoi esordi e ci siamo imbattuti in “Giungla d’asfalto”, questo maturo noir del grande John Huston, che, 10 anni dopo, diresse anche l’ultimo dei film di Marilyn, in pieno breakdown psichico, “The misfits” (“Gli spostati”, ma oggi si direbbe forse “I disadattati”). Il nome di uno dei protagonisti, il “dottore” che, appena uscito dal carcere, è già pronto con il piano per la rapina che sistemerà lui e tutti i suoi amici per sempre, Riedenschneider, ha gettato un ponte immaginario con “L’uomo che non c’era” dei Coen Brothers (2001), un film filosofico ed esistenziale in forma di un perfetto noir anni ’50 : qui Freddy Riedenschneider è l’indimenticabile avvocato esoso e narcisista, ma, in fondo, e contro tutte le apparenze, come ogni vero narcisista, anche non privo di anima, che, da vero scienziato indifferente agli inganni del fenomenico (cita il teorema di indeterminazione di Heisenberg), cerca ipotesi di fiction come migliori strategie per difendere il suo cliente, l’altrettanto indimenticabile barbiere-filosofo, Ed. Quest’ultimo finirà tuttavia sulla sedia elettrica per un delitto non commesso, dopo non essere stato incriminato per quello commesso. E’ difficile pensare al caso, con dei perfezionisti come i fratelli Coen, per il nome Riedenschneider, ma che si tratti di citazione, ricordo casuale o preconscio, o di pura omonimia casuale cambia poco, per noi spettatori. Da subito, ci fa prendere più sul serio questo vecchio film dimenticato, “Giungla d’Asfalto”.
Un noir psicologico, morale e melodrammatico
“Giungla d’Asfalto” è la storia drammatica di un colpo fallito e della sconfitta o morte preannunciata di chi l’aveva messo in atto per risolvere definitivamente i propri problemi. Il soggetto originale (di W. R. Burnett) ci è estremamente familiare, visto che è stato sviluppato, con diverse varianti, in numerosi altri film del genere e non.1, 2 “Giungla” è qui usato come metafora di un luogo selvaggio, nel quale bisogna guardarsi intorno e alle spalle, sottoposto a leggi spietate, dove l’animale più grande mangia quello più piccolo: nella “Giungla d’asfalto” gli animali feroci sono, “d’ufficio”, gli esponenti della malavita e alcuni componenti delle forze Polizia rei di aver accettato mazzette per chiudere gli occhi sui loschi traffici di ricettatori, allibratori, gangster; i cacciatori invece sono i poliziotti integerrimi, tenaci tutori dell’ordine. Compito della Polizia è ascoltare le grida d’aiuto della popolazione ed impedire che la Bestia Umana abbia il sopravvento. Questo format scontato viene in nei fatti non solo disatteso, ma addirittura rovesciato, perché la caratteristica di questo film, ciò che realmente avvince lo spettatore, è la precisa caratterizzazione psicologica dei malviventi e la forte connotazione morale, sia pure sui generis, vale a dire plasmata su un codice di valori del tutto personale.
Il Dr Riedenschneider è il personaggio più interessante. Il suo comportamento è indicativo di quegli individui con intelligenza superiore alla media, che in realtà sono incapaci di mettere a frutto le proprie doti e di realizzare le proprie ambizioni, a causa della propria presupponenza e sicurezza (narcisistiche). Riedenschneider racconta a Dick, un suo complice nella rapina da lui ideata, il suo sogno di andare a Città del Messico, famosa per la sua aria pura3 , il suo ippodromo e per le ragazze, ma non è che un’utòpia. Si farà catturare, essendo un tipo contemplativo e non aggressivo, come se se lo aspettasse e inconsciamente desiderasse la fine inevitabile in prigione, rifugio protetto pieno di libri, mentre interrompe la sua fuga incantato da una ragazza che balla, alla quale lui dà i soldi per il juke box. Ogni narcisista ha il suo tallone d’Achille: i fogli della piantina con gli orari dell’allarme risalivano a prima della precedente carcerazione, ecco perché l’orario della sirena non corrispondeva. Il colpo sarebbe fallito perché c’era già un errore alla base, il suo.
Altro personaggio di spicco è l’avvocato Emmerich Hugo che, per mantenere la sua doppia vita, e la sua giovane amante, Angela Phinlay (Marilyn Monroe, in un ruolo tautologico rispetto alla sua reale personalità dell’epoca) ritiene il delitto necessario. Quando si accorge che le sue trame vanno a monte consiglia all’amante, con un bacetto, di coricarsi, come farebbe una persona più grande per una nipotina che, nel frattempo, è cresciuta: il secondo bacio, che gli dà Angela è più vero, e lui, come un vecchio feticista le fissa invece il piedi calzati con scarpe dai tacchi alti, quando lei si allontana. Naturalmente anche la giovane amante, quando rischia di essere incriminata per falsa testimonianza, lo scarica. Lui non fa una piega. Emmerich Hugo, l’avvocato corrotto e bugiardo si riscatta con la morte, una morte coerente di fronte al fallimento. Da vero signore si uccide dopo aver avuto l’impulso di chiedere perdono alla moglie senza poi farlo. Per un altro narcisista è più facile uccidersi che chiedere perdono, verosimilmente invano.
C’è poi Dick, quasi un eroe romantico. Nella scena con Doll, l’ex ballerina innamorata di lui, empatica ed affidabile, lei gli racconta al suo risveglio di come nel sonno avesse parlato di Granturco, il puledro morello poi soppresso della fattoria della sua infanzia che come allibratore avrebbe voluto riscattare. Era stato il suo bisnonno ad importare il primo puledro irlandese nel Kentucky. Nella sua fuga finale, ferito, accompagnato da Doll, andrà a morire proprio nella sua fattoria. I cavalli lo attorniano come in un estremo saluto: un innesto melodrammatico in un noir spietato. E’ la cavallina storna. Il cerchio della vita si chiude per lui simbolicamente con la sua presenza nella prima e l’ultima scena.
Anche gli altri personaggi minori sono ben caratterizzati. Louis ha mani delicate (infatti fa lo scassinatore) e si preoccupa per il figlio che accudisce amorevolmente; Cobby, quando deve privarsi dei suoi soldi e li tocca, il sudore gli imperla la fronte. Costretto a confessare sarà bollato come delatore da Gus.
Ognuno di questi personaggi tenta con la rapina di soddisfare i propri desideri: Dick ha bisogno di soldi per le sue scommesse sui cavalli; Emmerich, l’avvocato, per l’amante ed i viaggi; Gus, l’autista, per l’attività; Louis, lo scassinatore, per la famiglia; il Dottor Riedenschneider, per rincorrere il sogno delle giovani ragazze. Ma naturalmente tutto va storto e il caso si accanisce su di loro, che potranno trovare pace solo nella morte o in prigione.
Un po’ di storia del cinema
Più un gangster movie, essendo un film corale, dove non emerge un solo personaggio, ma ognuno si ritaglia il proprio spazio, per certi versi più vicino al caper movie, sottogenere del thriller, che mette in scena i preparativi, la messa in opera e la conclusione di un grande colpo, “Giungla d’asfalto” se ne discosta per la presenza di una rassegnazione del tutto personale che ogni personaggio vive a suo modo e a seconda delle proprie radici culturali. Lo spettatore intuisce già l’epilogo, perché dal film stesso traspaiono indizi che lo preparano in un certo senso all’esito tragico.
Certo si tratta di un noir, metropolitano. Non mancano tutti gli ingredienti che connotano questo genere che è piuttosto uno stile, un tono generale: la legittima difesa dell’individuo pessimista e disilluso nei confronti del mondo di cui non accetta le regole, figlio della crisi del ‘29, del malessere sociale diffuso della II Guerra Mondiale, del pericolo del maccartismo e della censura, filosoficamente esistenzialista, se non un vero nichilista. L’atmosfera è claustrofobica, soprattutto per quei film che si rifanno all’espressionismo tedesco, e celano al loro interno l’espediente del soggetto narrante per l’identificazione dello spettatore nel protagonista, aiutandosi con effetti di luce ed oscurità in particolare intorno ai lampioni delle strade o agli aloni delle lampade, come in “Double Indemnity” di Billy Wilder, film del 1944.
Di solito il noir è onirico, insolito, erotico, ambiguo, crudele con elementi masochistici: c’è uno psicopatico, un eroe cinico, una femme fatale. In “Giungla d’Asfalto”, noir atipico, abbiamo solo l’erotismo superficiale di Angela (Marilyn Monroe) ed una donna coniugale, positiva, Doll. Manca il detective come quello più che bizzarro, dipinto da Hammett, e interpretato da Humphrey Bogart, nel primo noir di Huston, “The Maltese Falcon” (Il Mistero del Falco”).[1]. Nel film di Huston c’è il malvivente che viene punito dalla giustizia immanente, dalle circostanze, perché è un “Perdente”, esponente delle colpe collettive verso la società portatrice di falsi valori. Uno “Straniero” (Camus) che vive una vita non sua tribolando materialmente e mentalmente. Ci sono in questo film alcune delle principali caratteristiche del noir, ma la sorte sarà per i malviventi differenziata a seconda della loro colpa, dei loro bisogni o dei loro desideri. La morale del film è quasi un castigo divino, forse per le radici cattolico-irlandesi dell’ateo Huston. Questa cupa epica della punizione appare particolarmente accentuata e proprio per questo i personaggi con i quali si identificano gli spettatori sono più i gangster che i poliziotti.
Huston era ateo, tuttavia diresse il colossal di De Laurentis “La Bibbia”. Huston faceva sempre le cose in cui credeva, almeno dal lato estetico, mettendo tutto se stesso: diresse il suo ultimo film, “The Dead”, la bellissima saga dublinese, dal racconto di James Joyce, in sedia a rotelle con una mascherina ad ossigeno per l’enfisema morendo, qualche mese dopo. Sicuramente Huston non praticava nessuna professione religiosa, ebbe 5 matrimoni , ma era attaccato alle radici della sua famiglia e al senso di appartenenza della madrepatria e questo non poteva non riflettersi nel forte senso etico nei suoi film.5
La strada del noir, intanto, continua ad essere lastricata di capolavori e registi che, prendendo il testimone dai loro predecessori, a loro volta diventano sperimentatori, anche con l’avvento delle nuove tecnologie digitali. Citando solo qualche titolo europeo (o d’ispirazione europea), ricordiamo J. L.Godard (A’ bout de souffle, 1960), F.Truffaut (Finalmente domenica!1983), R. Polanski (Chinatown 1974, La nona porta,1999), F. F. Coppola (Il Padrino 1972 e il Padrino parte II 1974), R. Scott (Blade Runner 1982) e perfino Woody Allen (Misterioso omicidio a Manhattan 1993, Match Point 2005); tralasciando una miriade di titoli importanti di questo genere ormai globalizzato, arriviamo quindi al 2001 al nuovo Riedenschneider con Joel e Ethan Coen, che diressero e produssero “L’uomo che non c’era”, un tribute al noir in generale, eseguito in 3D con pellicola in bianco e nero sgranata, per smussarne i contrasti e renderlo un film gris con elementi surreali. La sceneggiatura, sempre dei fratelli Coen, si basa, come la maggior parte dei noirs, sui racconti di genere, qui di J. M. Cain. Comincia con la scoperta del tradimento della moglie da parte di suo marito, un laconico aiuto-barbiere Ed che ricatta l’amante di lei per investire in un innovativo business sulle lavanderie a secco, spinto da un improbabile imprenditore-checca e, come ogni noir che si rispetti, finisce con la morte dei protagonisti meno una, Birdy, la ragazzina-pianista. Saltano allora agli occhi gli “omaggi” dei due registi ebrei a vent’anni di cinema americano (1940-1959).
Ed, come Dick, Emmerich Hugo, Dr. Riedenschneider, è un “Soccombente” (Thomas Bernhard), un eterno secondo, mediocre, tormentato dall’impossibilità del riscatto e schiacciato da ambizioni esagerate per i propri mezzi. Lui come gli altri riescono a divenire grandi solo nell’istante della morte: Dick nel ritrovare la strada di casa con Doll, Emmerich nella su fredda autodeterminazione, Ed nel pubblicare per una rivista maschile le sue sensazioni di condannato a morte e nel vedere, sulla sedia elettrica, la luce che forse proviene dagli altri mondi della fantascienza anni’50.
“L’’uomo che non c’era” incamera tutti gli aspetti del noir in un bianco e nero stupefacente, ma che che sembra avere come tono dominante il grigio, in omaggio alla vita grigia del suo protagonista: caper movie (la truffa), noir metropolitano sia come milieu (la bottega del barbiere) che come crescendo nella carneficina seguente, noir espressionista tedesco, alla F. Lang (Metropolis, 1927), ha il suo colpo di genio negli innesti di fantascienza nella scena della comparsa degli UFO alla vedova di Big Dave; ma è, ovviamente, un legal thriller, nel quale l’avvocato non riesce a vincere la causa per un pelo (la morte della sua assistita, la moglie di Ed, erroneamente incriminata, per impiccagione in carcere) e neppure la seconda (per il ritiro del principale finanziatore, il cognato di Ed ), ed anche un noir mediterraneo, per le truci e abbiette atmosfere (muore anche Craighton, la checca, la “viola mammola”), ed una parodia di hardboiled nel dipingere alcuni personaggi, quello di Freddy Riedenschneider per citarne uno, e per il cinismo di Ed quando si scusa con i lettori se scrive a lungo, ma d’altra parte lo pagano 5 cent a parola. Questo mix enciclopedico concorre ad una summa filosofica nella quale si respira la stessa aria dell’esistenzialismo in nuce del vecchio film di Huston: forse un altro indizio che lega i geniali registi ebrei nostri contemporanei al cattolico-ateo John Huston sotto l’insospettabile egida dell’Etica.
NOTE:
1Nel western “Badlander” del ’58, diretto da Delmer Daves; in “Rapina al Cairo” del 1963 che si svolgeva, ovviamente in Egitto; “Cool Breeze”, che in italiano avevano chiamato “I diamanti sono pericolosi” un film del 1972 con attori esclusivamente di colore e poi “Gli uomini della terra selvaggia” in forma di western nel 1958. Ma molti altri film si sono rifatti a “Giungla d’Asfalto” (con il tema della rapina svolto in modo un po’ diverso), ad esempio “Ocean Eleven” il primo (quello del 1950) e il secondo, quello con G. Clooney del 2001 per la regia di S. Soderbergh, oppure “Italian Job” (vecchio e nuovo), e il nostrano, mitico, “I soliti ignoti” di M. Monicelli del 1958, versione commedia all’italiana. Il film ha generato una serie di 13 episodi interpretati da J. Warden, A. Johnson e W. Smith, prodotti da A. Lewis proiettati per la ABC dei quali uno, il IX, dal titolo “Il Professore “(regia di H. Hoffman) può essere considerato il sequel.
2E’ interpretato da attori come Sterling Hayden (Dix Handley, Dick); Louis Calhern (Alonzo D. Emmerich, Hugo); Sam Jaffe (Dottor Erwin Riedenschneider); Marilyn Monroe nel ruolo di Angela Phinlay. Dietro le quinte, da segnalare il direttore della fotografia Harold Rosson e la musica dell’ungherese Miklòs Rozsa.
3 C’è qui un mistero di sceneggiatura in quanto già in quegli anni era conosciuta come la città più inquinata del mondo.
4 Preceduti dai gangster movies degli anni ’30 (“Scarface” di H.Hawks, 1932) dai melodrammi di v. Sternberg e dai film dell’espressionismo tedesco, il proliferare delle produzioni di noir fu spinto dalla necessità nel periodo post-bellico di produrre film a basso costo, dalla stanchezza per le commedie, il desiderio di maggior realismo, l’emigrazione di numerosi registi tedeschi in America. Gli storici del cinema distinguono un periodo classico, databile dal 1941 al 1955 e diviso grosso modo in tre fasi, seguito da un modernismo e post-modernismo fino all’età contemporanea . La I fase (dal ’41 al ’46) coincide con il periodo bellico: è la fase dell’investigatore privato tratto dai racconti di Hammett, Chandler, Cain, dalle classiche interpretazioni di Humphrey Bogart e Lauren Bacall, l’ambientazione negli studi, il predominio della parola sull’azione: l’età del “Mistero del Falco” (J. Huston 1941), del “Grande Sonno” (H. Hawks, 1946), de “Il Postino Suona Sempre Due Volte” (T. Garnett, 1946). “La Fiamma del Peccato” (B. Wilder, 1944) introduce la II fase (dal ’45 al ’49), che occupa orientativamente il periodo post-bellico: maggior realismo, rappresentazione della delinquenza, della corruzione della polizia (“I Gangsters” di R. Siodmak, ’46, ”Forza Bruta” di J. Dassin, ’47, “La Città Nuda” di J. Dassin, ’48). La III fase (dal ’49 al ’55) che rappresenta le psicosi e gli istinti omicidi, l’eroe al capolinea, ricordiamo fra i tanti “Lo Specchio Scuro” di R. Siodmak del 1946 “Viale del Tramonto” di B. Wilder del 1950, fino a gran parte della filmografia di Hitchcock fino a “Psycho”, 1960.
5 Vi sono tratti autobiografici in alcuni film di Huston, come Freud- The Secret Passion (1962), Moulin Rouge, (1952) e lo stesso “The Bible” (nel qual intepreta Noè, in omaggio al suo amore per gli animali e la voce di Dio) nei quali il regista americano ritrasse sé stesso. Definito un eccentrico epico, sostenne sempre i diritti civili. Adottò il figlio che la su quarta moglie ebbe con un altro regista, Tony, dopo che lei morì in un incidente. La figlia naturale Anjelica, anch’essa attrice e regista, racconta in un libro l’estrema generosità con la quale il padre ritornava con le braccia piene di regali di ritorno dalle tournées. Huston spesso si recò in Europa preferendo la Toscana (Viareggio) e la costiera amalfitana (Ravello). Ma soprattutto aveva acquistato una casa in Irlanda nella Contea di Galway dove visse 16 anni ottenendo la cittadinanza nel 1964. In sostanza Huston, attraverso numerose traversie, divenne un sorta di patriarca.
L’ultimo film di Huston, è un capolavoro di adattamento da un’opera letteraria, The Dead, ultimo dei racconto di Dubliners , capolavoro giovanile di Joyce, del 1987. Nella sostanziale fedeltà, Huston compie alcune varianti ed apporta alcuni innesti, come la lettura del poema anonimo Broken wovs (Promesse tradite) sull’inganno in amore. Nel film Anjelica recitò nei panni di Getta e il fratellastro Tony figura come sceneggiatore. Tutto questo fa pensare non solo, come è stato detto, ad un testamento spirituale, ma ad una vera e propria messa in scena dei suoi valori più intimi.
BIBLIOGRAFIA
Il Film Noir, www.grandemaurizio.it
I Quaderni del Cineforum, 27; Tutto il Nero del Noir www.cineforumdelcircolo.it
Pagine speciali: appunti sul Noir, The Movie Connection, www.movieconnection.it
Scarface: The Shame of the Nation (’32) Greatest Films www.filmsite.org
Il Cinema Noir – ilcorto.it www.ilcorto.it
John Huston Biography: www.imdb.com/name/nn0001379/bio
T. Bernhard “Il Soccombente”, I Ed. 1983
A. Camus “Lo Straniero” I Ed. 1942, Gallimard, Paris
“Riedenschneider”: un percorso da “Giungla d’Asfalto” (The Asphalt Jungle di J. Huston, USA 1950) a “L’uomo che non c’era” di Joel e Ethan Coen (USA, 2001)