“Under your skin” di Cristina Picchi

302976106_640di Gianni Quilici

Molto interessante Under your skin di Cristina Picchi non meno di Zima, vincitore a Locarno del Pardino d’Argento e nominato miglior cortometraggio agli European Film Awards 2013,

Siamo nel 2011 alle soglie dei Giochi Olimpici e Paraolimpici del 2012 di Londra. Cristina Picchi ha da poco concluso il master in arti visive alla “Goldsmiths University of London” e decide di utilizzare questo appuntamento realizzando un video, in qualche misura alternativo, scegliendo sette storie di atleti non professionisti, ma che aspirano a diventarlo, in soli otto minuti. Atleti che praticano nuoto, ginnastica artistica, atletica, il rugby su sedia a rotelle, il goalball per non vedenti, il ciclismo su pista e la boxe. Ognuno di questi viene presentato attraverso tre fasi: la preparazione, la gara, il fine gara.

E’ un video rigoroso e al tempo stesso ambizioso.

Rigoroso per il controllo ferreo dei tempi, per la scansione di un montaggio veloce, ma non compiaciuto, che sa narrare intrecciando felicemente l’ambiente con l’atleta, primi piani o campi medi con i dettagli, inquadrature oggettive con soggettive. Un controllo preciso che fa “sentire” la “presenza” di un(a) regista come personaggio, sia pure invisibile.

Ed è ambizioso molto di più di quello che può apparire ad uno sguardo sbrigativo. Perché la Picchi è riuscita a rappresentare una situazione, armonizzando due tipi di sguardi: lo sguardo oggettivo: il corpo in azione, visto con diverse angolazioni e piani, in particolare con dettagli illuminanti; lo sguardo soggettivo, ciò che l’atleta vede e che noi (gli altri) non possiamo vedere. In questo caso, come ha dichiarato la stessa regista in un’intervista al quotidiano Il Tirreno, utilizzando una telecamera Go Pro, solitamente usata negli sport estremi, ha ripreso, ad esempio, la nuotatrice sotto acqua, oppure l’incontro di boxe come se lei stessa fosse sul ring.

Ne fuoriescono due sguardi totalmente diversi: uno dello spettatore (fuori dall’azione); l’altro dell’atleta (dentro l’azione). La scommessa ambiziosa: entrare “under your skin”, vedere cioè dentro una soggettività in movimento, per giunta, competitiva.

E lo ha fatto, Cristina Picchi, evitando, a mio parere, un possibile errore: il compiacimento, molto cinefilo, di estremizzare lo sguardo soggettivo.

Il risultato: un documentario film, dove il realismo diventa quasi metafisico, senza perdere però il suo realismo.

Una delle sequenze più riuscite è forse la prima, con Rhiannon, una velocista che si cimenta nella corsa ad ostacoli.

Inizia con l’inquadratura veloce sul Norman Park, il luogo dove si svolge la gara, con il dettaglio sui blocchi di partenza e sugli ostacoli appena intravisti, mentre si sentono i passi felpati delle corse e la voce dell’altoparlante. Continua con la ragazza che si prepara, va ai blocchi di partenza, ripresa attraverso molteplici, veloci ed essenziali inquadrature di campo e di angolazione. Diventa molto efficace, poi, la corsa, visivamente e realisticamente, perché ciò che l’atleta vede, ma anche che noi vediamo, è l’ostacolo che deve affrontare, con la telecamera che ondeggia ad ogni salto. Si conclude, infine, con il respiro affannato della ragazza  colta in bellissimi primi e primissimi piani, il volto, le mani.

UNDER YOUR SKIN

Regia: Cristina Picchi

Durata: 8 minuti


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