Al festival di Locarno e’ stato riproposto nella sezione-omaggio dedicata alla casa di produzione Titanus il primo horror italiano (senza effetti speciali) “Il demonio” di Brunello Rondi….
“Questa è la storia di Purificazione, una ragazza posseduta dalla magia, una storia che si svolge ai giorni nostri in Lucania..”
Così la voce fuori campo che dà inizio al secondo lavoro di Brunello Rondi, “Il demonio” (1963), il quale, dopo essere stato accolto con freddezza alla Mostra di Venezia, si aggiudicò l’Orso d’Oro per la miglior regia al Festival Berlino.
Il film, che tiene sullo sfondo i riti e le formule magiche degli studi etnologici effettuati nel Sud Italia da Ernesto De Martino, si ispira ad un fatto tragicamente accaduto e palpita delle sensazioni vissute dallo stesso regista durante un suo viaggio in Puglia nella Pasqua del 1962.
Considerato ancora oggi il primo horror (senza effetti speciali) made in Italy, stilisticamente impostato fra fantasia e documento etnologico, “Il demonio” verrà riproposto in questi giorni al Festival di Locarno nella retrospettiva dedicata alla più antica e famosa major di casa nostra, la Titanus della famiglia Lombardo, fondata a Napoli nel 1904.
In un paesaggio povero, rimasto nel tempo incontaminato ed immutato (è quello della Matera che farà l’anno successivo da set al “Vangelo…” di Pasolini) si sviluppa la vicenda di Purif una giovane contadina incompresa, emarginata dalla gente perché considerata alla stregua di una fattucchiera. L’amore non corrisposto per il giovane Antonio ( Frank Wolff , il cui volto era già noto al pubblico per l’interpretazione di Gaspare Piscotta ne “Il bandito Giuliano” di Francesco Rosi), lo stupro subito da uno stregone e un pastore, la confessione di sentirsi una indemoniata, le percosse e le persecuzioni subite dalla comunità abbozzano della giovane Purif un dramma personale che mette allo scoperto di un contesto sociale emarginazione, arretratezza, il bizzarro legame fra fede e superstizione.
La critica straniera riconobbe nel “Demonio” un’ opera “sovrarealistica”, invece la stampa italiana specializzata vide delle similitudini del personaggio protagonista con la pastorella folle di Anna Magnani nel rosselliniano “Il miracolo” (1948). Ma la calamitosa e selvaggia Purif, interpretata da una giovanissima Dahlia Lavì – attrice di origini israeliane che lascerà il cinema per intraprendere una strepitosa carriera canora (chi ricorda il successo internazionale di “Willst du mit mir gehn- Vuoi venire con me ?) – si disse poi che ispirò la maciara di Florinda Bolkar nel superbo thriller “Non si sevizia un paperino” (1972) del maestro nel genere Lucio Fulci.
“Il demonio” è altresì un film di atmosfere, calibrate dalle musiche di Piero Piccioni e dalla curatissimo bianco e nero di Carlo Bellero, ma dalle sue sequenze non si può non notare quell’occhio inquieto, attento alle problematiche femminile e che caratterizzerà quasi tutta la cinematografica di Brunello Rondi.
Un regista-sceneggiatore impegnato, aperto alle più vivaci sperimentazioni, attratto anche da musica, filosofia, poesia, teatro. E non per caso Federico Fellini – con cui aveva collaborato alla stesura delle sceneggiature de “La dolce vita” (1960), “Boccaccio 70” (1962) e “8 ½” (1963) – su un numero del quindicinale “Cinema Nuovo” riconoscerà in Rondi un intellettuale versatile dal “lungo respiro” che “vive le idee, e non solo quelle, con una febbre da cavallo addosso”.
Peccato che Brunello Rondi sia stato un pò dimenticato nel nostro Paese, ma la proiezione a Locarno del “Demonio” è la giusta vetrina per ritrovare l’orizzonte esteso della sua visionarietà.