E’ partita il 23 giugno e andrà avanti (tra Milano e Torino) fino al 10 luglio la quindicesima edizione della Milanesiana, focus tra letteratura, cinema, musica, teatro e tanto altro, ideato dalla editor della Bompiani e regista Elisabetta Sgarbi la quale, oltre a declinare sul gioco non sempre lineare dell’intreccio dei linguaggi e dei temi, piace andare a ripulire dalle scrostature immaginari marchiati da luoghi comuni spesso fin troppo restrittivi.
Appunto come è accaduto per Tinto Brass a cui viene dedicata una mostra di fotografie allestita negli spazi dell’Università Uilm di Milano. Conosciuto al grande pubblico come maestro-sperimentatore del cinema erotico (o sporcaccione, dipende dai punti di vista) e numero uno tra i teorici del deretano del gentil sesso che “messo allo scoperto sul grande schermo diventa mappa e simbolo di un cinema vitale e gioioso”, Tinto Brass, però, ebbene ricordare, che agli inizi degli anni sessanta si presentò nei panni di un giovane regista atipico e provocatorio. Si pensi al suo primo film di cinquantuno anni fa “Chi lavora è perduto” che gli creò non pochi problemi di censura (ma questo sarà una costante di tutta la sua carriera) e in cui rivolge lo sguardo verso un giovane veneziano, anarchico e disoccupato, che fa strani incontri costellati da una certa “bizzarria regionale”.
Ma non si dimentichi il Tinto Brass antiborghese e molto serio de “L’urlo”, – film girato nel 1968 e sottoposto a sequestro per sei anni – “Droup” (1970) e “La vacanza” (1971), quest’ultimo con Franco Nero e la moglie Vanessa Redgrave impegnati in un drammone popolare di emarginati e folli dove agli interpreti vengono invertiti i ruoli (l’attrice inglese incarna Ruzante).
Con le successive pellicole “Salon Kitty “ (1975) e “Caligola” (1979), il regista veneziano punta le basi di un cambio di spartito per incamminarsi sulla strada della dissacrazione e dell’antimoralità ed approdare, quindi, al genere porno-soft (che la critica non si farà alcun scrupoloso nel ripudiarlo e stroncarlo) de “La Chiave” (1983) con una carnale e disinibita Stefania Sandrelli, “Miranda” (1985), “Così fan tutte” (1992), “L’uomo che guarda” (1994).
Ora con la mostra della Milanesiana “Tinto Brass tra popolarità e arte”, curata nell’allestimento da Caterina Varzì, Luca Volpatti e dallo stesso Brass, viene catalizzata in soli ventisei scatti l’oltre mezzo secolo della carriera del regista. Una piccola finestra che si apre su una filmografia connotata da una costante verve dissacratoria e ci svela, inoltre, un Brass dietro le quinte dei set con l’ inseparabile sigaro in bocca e quel suo sguardo allusivo da autentico maestro profanatore delle convenzioni.