“Still Life” di Uberto Pasolini

still-life-trailer-poster-e-foto-del-film-di-uberto-pasolini-premiato-a-venezia-8-620x350di Gianni Quilici

E’ un film minimalista. Uno di quei film in cui o si riesce a cogliere e a vivere quel minimalismo dell’esistenza quotidiana del protagonista, o, altrimenti, anche se si percepisce che c’è “qualcosa”, ci si annoia.

E’ un minimalismo, tuttavia, emblematico di una delle situazioni presenti attualmente nelle società occidentali, una solitudine estrema, che ha, comunque, una compensazione nel modo in cui il protagonista vive il suo lavoro.

John May è un impiegato municipale che svolge un tipo di lavoro inconsueto: ricercare dei parenti di persone, che sono morte in solitudine. Questo lavoro John May lo fa non solo con scrupolosità certosina, ma anche con una buona dose di creatività. Egli infatti cerca disperatamente parenti o amici dei “morti”, prepara il discorso celebrativo rendendolo vivo e poetico, sceglie la musica adeguata agli orientamenti religiosi del defunto per la cerimonia funebre, ma è sempre solo in chiesa e a seguire la sepoltura. Ed è proprio nel momento in cui viene licenziato, per il ridimensionamento del suo ufficio, che trova delle tracce dell’ultimo uomo, Billy Stoke, morto in solitudine, che lo portano a scoprire un uomo diverso da lui, vitale e “fuori dalle regole”, e poi di seguito una sua donna, amici, la moglie e soprattutto la figlia.

E’ qui che Still Life si fa storia, ossia intreccio di rapporti psicologici, con un finale a sorpresa.

Uberto Pasolini, che lo ha scritto, diretto e prodotto, pedina ( ricorda Tsai Ming Liang) per tutto il film John May, interpretato con straordinario rigore da Eddie Marsan, dal volto ferito e attonito, abbandonato e prosciugato da ogni emozione, ripreso spesso in campo lungo nella sua routine quotidiana sempre monocorde: l’ufficio, la strada, i sopralluoghi, il pranzo morigerato, le funzioni funebri, le fotografie dei “morti” da esaminare e da catalogare. Una vita non vita, senza palpiti, da morto vivo insomma, che però testimonia valori universali: la cura dovuta ai morti, non solo per pietas e misericordia, ma anche nel ricomporne la storia. Anche la musica è partecipe di questo minimalismo: pochi tocchi di chitarra, che solo nel finale crescono.

Il finale arriva, infatti, impietoso, veloce, imprevedibile. Uberto Pasolini aveva fondamentalmente due scelte: gratificare il pubblico o essere coerente con la storia. Ha scelto la seconda strada con –quella che a me pare- una forzatura poetica. Tutta quella gente fantasma, che confluisce alla sua tomba è ciò che John May si meriterebbe. La realtà è, invece, diversa. Nessuno, tranne forse la giovane figlio del defunto, lo ha davvero conosciuto o, perlomeno, intuito. Forse sarebbe stato spietata, ma vera, una morte solitaria, senza alcun riconoscimento. Solo il regista, solo noi, spettatori, per così dire, sensibili, possiamo “capirlo”, volergli bene.

Still-Life_def_web1Still Life

di Uberto Pasolini

con Eddie Marsan, Joanne Froggatt, Karen Drury, Andrew Buchan, Ciaran McIntyre.

Gran Bretagna, Italia 2013. Durata 87 minuti.


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