“Io in Mali non torno”. E’ una delle battute più forti di “Black diamonds” (“Diamanti neri”) dello spagnolo Miguel Alcantud. Esce dalla bocca di Massa, un ragazzo malese di quindici anni che, insieme al suo coetaneo Amadou, ha lasciato il proprio paese per la Spagna accompagnato dal sogno di diventare una stella del calcio. Massa non tornerà in Mali (sarebbe una vergogna troppo grande per lui e la sua famiglia che ha investito tutto quanto possedeva per farlo giocare all’estero), preferirà accasarsi in un modesto club dell’Estonia dopo essere stato scartato da più società spagnole e aver provato l’umiliazione di spacciare droga e finire in carcere.
Invece Amadou è costretto a rimpatriare forzatamente e con la morte nel cuore, in quanto a lui l’esperienza in Europa da aspirante campione stava andando decisamente meglio rispetto al compagno, solamente che incorre in un grave infortunio e, una volta abbandonato al suo destino dal suo “procuratore” e dalla società portoghese che l’aveva preso in prova, è costretto a far ritorno dalla madre malata e i fratelli.
Emblematica e sofferta è l’ultima sequenza del film in cui il ragazzo si presenta sul campetto in terra battuta dove giocano i suoi vecchi amici, i quali appena lo vedono fermano la corsa della palla e gli rivolgono un fulminante sguardo di diniego. Come se il fallimento di Amadou avesse assunto in loro le sembianze di un sogno tradito.
Presentato in prima nazionale al Giffoni Film Festival, dopo aver vinto il premio speciale del pubblico al Festival di Malaga, “Black diamonds” è un film duro, uno pugno negli occhi dello spettatore, una denuncia sulla vergognosa spregiudicatezza di presunti procacciatori di talenti calcistici, che vanno nei Paesi poveri e fanno credere ai ragazzini del posto che solo trasferendosi in Europa potranno sfondare nel calcio.
Una truffa di cui sono ignari i milioni di tifosi dei club europei i quali non sanno nulla dello schifo che sta dietro al mercato dei loro idoli che arrivano dall’estero. Non sanno (né gli interessa sapere) che migliaia di ragazzi minorenni, giunti dall’Africa con l’illusione di giocare al calcio, vengono crudelmente abbandonati per strada (al loro destino) da impostori che si presentano come manager di grandi società calcistiche.
L’odissea di Amadou e Massa raccontata nel terzo film da Miguel Alcantud (“Impulsos” “Anastezsi”) è solo il riflesso tragico di un traffico torbido, di una tratta su dei minori i quali – per legge – potrebbero lasciare il proprio Paese e firmare un contratto con una società di calcio solo dopo aver compiuto i diciotto anni.
Un film notevole è “Black diamonds” anche per l’interpretazione di Setigui Diallo e Haimodou Samaké (entrambi attori non professionisti), dello spagnolo Carlos Bardem e del nostro Carlo D’Ursi, un attore barese e anche produttore (con la sua Potenza Pruduction ha cofinanziato il film di Alcantud) che da noi è poco conosciuto. Ma sarebbe pure ora che il cinema italiano si accorgesse delle sue qualità.
BLACK DIAMONDS
di Miguel Alcantud.
Con Hamidou Samaké, Setigui Diallo, Guillermo Toledo, Carlos Bardem, Carlo D’Ursi. Titolo originale Diamantes Negros. durata 110 min. – Portogallo, Spagna 2013.