di Gianni Quilici
Il paesaggio grandioso, maestoso, silente del Rio degli Amazzoni mi dà, a tratti, quel senso di assoluto, quel desiderio di andare e di perdersi nel mistero di quella grandiosità, che il film vuole infine trasmetterci, senza riuscirci in pieno nelle sue ambizioni più profonde.
Ci sono infatti nel film tre situazioni, in cui si trova a vivere Augusta, la protagonista su cui ruota l’intero film.
La prima: la disapprovazione silenziosa di suor Franca, amica della madre, con la quale discende la corrente del fiume, fermandosi sulle sponde con il proposito (la suora) di evangelizzare paternalisticamente gli indios; e incontrandosi con le missioni cattoliche, più interessate agli affari che a vivere un’autentica religiosità.
La seconda situazione: la delusione,dopo una prima appassionata partecipazione, nei confronti di una favela di indios, che vive disastrata a Manaus, sulle palafitte di una baraccopoli, oggetto di una speculazione edilizia, che dà condizioni migliori di vita a prezzi che possiamo immaginare soltanto: sbriciolamento di una vita comunitaria e di un modo di vivere millenario.
La terza infine: la fuga solitaria di Augusta da tutto e da tutti lungo il fiume, con l’approdo su una spiaggia bianca là dove il Rio degli Amazzoni sembra mare e l’unica speranza sembra il sorriso di un bambino come simbolo di un futuro che forse sarà.
Cosa non mi convince? Augusta, la protagonista.
Giorgio Diritti non ce la rivela, e non ce la fa conoscere da vicino nella sua intimità psicologica, ne’ nella sua concezione ideologico-filosofica. La sua personalità non viene rappresentata (solo detta) nelle ragioni della sua fuga dall’Italia ( non può avere figli, il marito se ne è andato, mentre il rapporto con la madre sembra difficile, senza che siano chiare le motivazioni). La sua contrapposizione alle missioni e a suor Franca è fondamentalmente emotiva e la sua fuga dalla comunità di Manaus nasce di fronte alle prime difficoltà, senza una vera lotta o, detto diversamente, senza che lei abbia vissuto davvero dentro le contraddizioni che la comunità vive. La sua fuga appare quindi velleitaria, non ci comunica la grande disperazione nei confronti di un mondo senza più speranza: ne’ quello ricco-consumistico; ne’ quello povero-primitivo. La disperazione di Augusta rimane individuale, non universale. La sua disperazione non abbraccia il mondo, lo vorrebbe abbracciare, ma finisce per rimanere soprattutto ancorata a se stessa, a problemi ancora irrisolti. La sua tragedia la percepiamo, ma non ci commuove.
Jasmine Trinca, simpatica, acuta e attraente all’anteprima del film con Giorgio Diritti e Gianni Canova, non mi convince forse a causa di un personaggio indefinito e poco complesso.
UN GIORNO DEVI ANDARE
Regia: Giorgio Diritti
Sceneggiatura: Fredo Valla, Giorgio Diritti , Tania Pedroni
Musiche: Daniele Furlati, Marco Biscarini
Fotografia: Roberto Cimatti
Montaggio: Esmeralda Calabria
Scenografia: Jean-Louis Leblanc, Paola Comencini
Costumi: Hellen Crysthine Bentes Gomes, Lia Francesca Morandini
Soggetto: Fredo Valla, Giorgio Diritti
Cast
Augusta: Jasmine Trinca
Suor Franca: Pia Engleberth
Amanda: Fonseca Galvao
Anno:2013
Nazione: Italia
Distribuzione: BIM
Durata: 109 min