Questo miniciclo su Fassbinder mi attira molto. Del regista tedesco avevo visto molti film, quasi tutti quelli distribuiti in Italia dal 75 fino all’82. Dopo la sua morte, i suoi film sono quasi spariti e raramente guardo il cinema in TV, anche attraverso il DVD.
Di Fassbinder mi è rimasta una sensazione: che immergersi nei suoi film ti può mutare, darti, cioè, visioni e pensieri che avevi magari avvertito, senza però averli portati alla luce. Perché Fassbinder è l’esatto contrario di quegli autori che una volta visti (anche quando li puoi apprezzare) non hai più desideri di ri-vedere, perché hai la sensazione che non ci siano più misteri.
Ma questo fascino ha delle ragioni sia filmiche che extra-filmiche.
La prima ragione: il suo estremismo produttivo, una sorta di ossessione rappresentativa come se non volesse perdere niente della sua esistenza. Aveva detto, infatti, in un’intervista: «Tutto quello che vivo devo poi trasformarlo in qualcosa che mi dia la sensazione d’averlo vissuto realmente». Quindi: non semplice autobiografia, ma creazione dentro e oltre l’autobiografia, in una corsa contro i limiti delle proprie possibilità, contro il tempo che fugge, in ultima analisi, contro la morte.
La seconda: la mobilità del suo cinema. All’inizio è , in qualche misura,influenzato da Godard e da Brecht: un cinema povero e destrutturato, freddo e provocatorio… per pochi; poi, supera la nouvelle vague, con la scoperta, con Douglas Sirk, di un cinema narrativo e melodrammatico, spesso colorato e molto curato in tutti i suoi aspetti cinematografici, che abbia come riferimento anche il vasto pubblico. E infine Querelle, non soltanto film testamento, ma inizio di un percorso nuovo, che stravolge il Fassbinder visto fino ad allora.
La terza ragione: essere non solo un regista, creatore di immagini e di immaginario, ma anche uno scrittore-sceneggiatore del profondo , capace di far vivere psicologie e dinamiche psichiche e ideologiche assai complesse (Penso ai bellissimi, così allora mi sembrarono Le lacrime di Petra Von Kant e Un anno con 13 lune.)
La quarta: essere l’autore che ha come sguardo di riferimento i più deboli, senza alcun paternalismo o maternalismo, senza indulgenza alcuna, perché il suo è uno sguardo interno, di chi si sente parte e si colloca alla stessa altezza.
L’ultima ragione: l’essere la sua vita stessa un film: l’infanzia solitaria, il padre che se ne va quando ha solo 5 anni, la madre malata e possessiva, gli amori tormentati, la solitudine, gli eccessi di ogni genere e, infine, lui regista.
Qui mi soccorre una bellissima testimonianza di Jeanne Moreau, interprete in Querelle, di cui trascrivo alcune tracce raccolte da Jean-Marie Combettes e Jean-Pierre Joecker:
“C’era Rainer, aveva una camicia bianca. “Mi hanno spiegato: “Si metta là, scenda, eccetera”. Improvvisamente Rainer si è avvicinato, mi ha baciato la mano e la ripresa è iniziata. Un clima assolutamente magico. In quel momento non ho capito, ma ho sentito che cosa è Lysiane… Ho sentito, man mano che procedevano le riprese il ruolo che Rainer dava alla femminilità, cioè alla molteplicità…Abbiamo comunicato per totale osmosi. Non mi ha mai dato un’indicazione, mai mostrato un gesto, parlava tedesco, capivo tutto quel che diceva, a volte si metteva a ridere, insultava qualcuno, diceva: “Guardate, lei non parla tedesco, e ha capito tutto…” A volte si creava una specie di intimità: eppure ci siamo toccati solo l’ultimo giorno di riprese. In lui vedevo il fanciullo, non mi riesce spiegarlo, era una specie d’amore…. Abbiamo girato il film in quattro settimana e mezzo, delle giornate di lavoro insensate, quattordici, quindici ore, in un’atmosfera surriscaldata, trascinati dalla sua energia. Aveva una fretta pazzesca. Conosceva la sceneggiatura alla perfezione, ma con quella libertà che implica una conoscenza veramente approfondita. Il modo in cui piazzava la cinepresa, in cui regolava i movimenti, dava i tagli, creava improvvisamente la vita. Era una meraviglia. Non lasciavo mai il set, era affascinante vederlo al lavoro. Era tutto molto veloce. Di solito quando si cambiano l’asse, l’obiettivo si perde tempo…Là era tutto immediato, c’era una velocità! Non ho mai visto girare con quella urgenza!. Ora non c’è più, non gli si può telefonare, non lo si può vedere…”
Grazie, una splendida recensione
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manganaro patrizia said,
Gennaio 9, 2013 @ 12:27era un artista colto e illuminato…ha avuto l’intuito della morte prossima…come capita a pochi…è vissuto di eccessi con la consapevolezza di non avere nulla da perdere..e ha trascinato con se la fretta del vivere e del non farsi sfuggire nulla…la fretta del vivere affiancato alla morte…non risparmiandosi per il pubblico che lo ha seguito nel suo tempo e per il pubblico che per questione di età non ha potuto,come me,ma che vorrebbe conoscere la sua opera densa e rapida.Questa rassegna potrebbe essere diffusa oltre il Circolo del Cinema di Lucca,sarebbe da augurarselo per conoscenza collettiva.Grazie per l’interessante operato.