“Artavazd Pelesjan e “Il silenzio di Pelesjan” di Pietro Marcello

silenzio-di-pelesjan-poster-pietro-marcellodi Maddalena Ferrari

Forse i più poetici film, tra i tanti proiettati a Lucca Film Festival 2012, sono quelli su e di Artavazd Pelesjan. Il regista armeno, infatti, ci fa incontrare la bellezza.

La bellezza de Le stagioni, con la vita pulsante di uomini, animali, stati del  paesaggio, dove c’è simbiosi tra persone e natura e, se i mezzi meccanici sono lì a dare un supporto, ciò che conta sono il gesto, la fatica, il movimento, il sudore, il respiro; con quel montaggio a contrappunto, per cui i piani di ripresa e di tempo non sono contigui, ma isolati e distanti e l’azione si ripete secondo linee che si inseguono e si intrecciano, creando un effetto di tensione e sviluppando una narrazione che va oltre il momento: gli uomini che trascinano i covoni lungo un pendio e sono da essi trascinati; i pastori che, abbracciati alle loro pecore, si lasciano scivolare giù per il declivio innevato, o trasportare e travolgere dalle rapide del fiume; le scene di un matrimonio, con l’affluire e confondersi di volti e di corpi e con i due sposi commossi, immersi nel pullulare di persone e nelle fasi del cerimoniale; la musica di Vivaldi che avvolge e distanzia.

La bellezza di Vita, un corto di meno di 10 minuti, dove, da varie angolature, con tempi che si ripetono e montaggio a dissolvenze incrociate, vediamo in primo piano la sofferenza di una donna che sta partorendo: alla tensione spasmodica del momento di vita l’Offertorio del Requiem di Verdi conferisce una dolce sacralità connaturata con la natura umana.

Di questa bellezza e del mistero dell’artista ci parla Pietro Marcello, con il documentario Il silenzio di Pelesjan . Il film non ci racconta Pelesjan, lo fa vivere nel suo paesaggio di ieri e di oggi, nella ipertrofia della metropoli e nella solitudine di un cimitero, nei luoghi e nei momenti del passato, alle prese con la commissione d’ingresso alla scuola di cinema, o mentre sta lavorando, o rivisita i paesaggi dei suoi documentari; nella realtà attuale, quando il suo volto, scolpito e invecchiato, conserva la profondità acuta dello sguardo; nei frammenti di film, suoi e dei maestri (  Ejzenstein, Guerassimov, Klimov…); nella serie di oggetti artistici della storia dell’umanità e nell’anonimato degli oggetti qualunque.

Marcello entra in sintonia con Pelesjan, con un discorso mosso, rispettando la volontà dell’artista armeno di non proferire parole, cosa che ha coinciso pienamente con il progetto del regista italiano: è il silenzio, reale e metaforico, di Pelesjan, che non realizza più film dai primi anni ’90.


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