E’ un film coraggioso, perché antinarrativo tra corsi e ricorsi, montaggio vertiginoso, flash back, necessità per comprenderlo in pieno di conoscere i Vangeli.
E’ un film materico, di una materialità arcaica: la scenografia brulla e scabra, rocciosa e nuda; il linguaggio sardo aspro e duro; i volti di contadini scavati, muti.
E’ un film di popolo, dove la voce di uno è la voce di tanti ed è un popolo che ha bisogno di capri espiatori, su cui versare paura e ignoranza; il bisogno di affermare un’identità contro qualcuno, qualcosa.
E’ un film cinefilo, in cui il vedere diventa contemplazione, dove l’azione spesso è fuori campo, le inquadrature sono insistite, i piani di visioni sono spesso molteplici.
Di fronte a questa ferocia arcaica la figura di Gesù Cristo si integra in pieno con il suo corpo offeso, martoriato, con il suo volto lontano da ogni mitologia, quasi privo di espressività, e comunque senza parola, senza il verbo, la sua voce, il suo messaggio.
Questo forse è il limite del film di Giovanni Columbu. Non rappresenta l’altro, il contrasto, l’alternativa. Un Cristo come semplice vittima.
Sono la luce, i tuoni lontani, sordi, cupi e la luce che scompare i segni di un presagio, di un castigo. Presenza ambigua di un’alterità.
Su Re
di Giovanni Columbu. Con Fiorenzo Mattu, Pietrina Menneas, Tonino Murgia, Paolo Pillonca, Antonio Forma.
Distribuzione: Sacher. Durata 80 min. – Italia 2012.