di Mimmo Mastrangelo
“Mi chiamo Paul” è il secondo capitolo (breve) delle incursioni di Elena Linardi Pirozzi nella sessualità-altra o nella difficile condizione umana di vivere una diversità. La regista romana nel precedente “Al contrario” (2009) aveva immaginato la storia tra due ragazzi ( Marika e Ettore) in un provinciale contesto in cui l’omosessualità costituisce la normalità e l’eterosessualità il contronatura, nell’ultimo lavoro (premiato in ottobre al XXIV Fano Internazional Film Festival) invece avvicina il suo sguardo ad un trans (ma nell’ambiguità del personaggio potrebbe essere solo uomo che veste da donna). Il suo vero nome è Paolo ma si fa chiamare Paul e serve ai tavoli di un bar. Una sera alla chiusura della locale si fa rimorchiare (per prostituirsi?) da una ragazza che prima cerca di fare sesso con lui (lei) e poi lo (la) stupra con la complicità di altre due giovani donne che trucemente rinfacciano alla vittima “facci sognare, dobbiamo divertirci”. Il trauma dell’oltraggio per Paul è forte, è una ferita che penetra oltre il corpo, azzanna la sua anima al punto da voler ritornare a sentirsi (e chissà con quanta sofferenza dentro) solo Paolo.
Il cortometraggio di Elena Linardi Pirozzi (che è anche la sceneggiatrice dell’opera) si conclude con Paul-Paolo (intensa l’interpretazione di Simone Ciampi) che se ne va camminando solo e traumatizzato nella notte sulle dolenti note della Tosca di Giacomo Puccini, mentre sul fotogramma finale va a sovrapporsi la didascalia: “Ci hanno fatto credere di scoprire le gambe per vivere meglio, forse per paura che scoprissimo solo la testa”.
Intensamente lacerante e pulito dalle riprese e dal buon lavoro di montaggio, il cortometraggio scardina il filo delle regole e le ragioni di un guardare solo in un’unica direzione. Punta ad un senso opposto, contrario il lavoro della Pirozzi, per dirci che sì è forte oggi l’accanimento violento degli uomini sulla donne. Ma può esserci (e sicuramente esiste) una violazione diversa, un’ingiuria inversa: della donna sull’uomo. Solamente che non se ne parla.