“Su un fotogramma di Buster Keaton” di Gianni Quilici

buster_keaton390Prendo un fotogramma qualsiasi di un film di Buster Keaton. Avrei potuto sceglierne un altro e un altro ancora, ma ciò che vorrei scrivere non muterebbe. Il primo piano del volto di Buster Keaton, infatti, ne riassume molti altri, perché più che ad un film esso rimanda a se stesso come puro volto.

Al contrario, per fare un esempio, di Robert De Niro (la faccia più straordinariamente camaleontica del cinema contemporaneo), Buster Keaton presenta sempre lo stesso personaggio, apparentemente sempre simile nella sua apparente impassibilità.

In realtà il volto di Keaton è uno dei più intensi, (cioè belli) della storia del cinema, perché non solo è poetico, ma lo è attraverso una “tensione interiore perpetua” (Judith Erebe).

Ed è poetico, perché vive oltre la misura quotidiana delle cose, proiettato altrove, in un sentimento sospeso, in cui egli si perde e da cui si slancia con una rapidità e agilità adolescenziale. Intensità delle emozioni, ma non sovraccaricate; mostrate, ma non esibite, prive di qualsiasi volontà autoritaria, di chi si pone inconsapevolmente nudo (e quindi candido) di fronte a noi, apparentemente disarmato, in realtà pugnace fino all’estrema goccia delle sue energie (se necessario).

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Osserviamolo allora questo fotogramma. Che cosa guardano gli occhi di Buster?

Non guardano noi (la realtà), guardano altrove. Dove? Verso un desiderio, un desiderio negato. Guardano l’impossibilità di questo desiderio. Inconsapevolmente si offrono, senza (a noi) chiedere niente. Sono occhi feriti. Massimo di intensità, massimo di asciuttezza.

Non solo. Il personaggio Keaton è altrove e non sa; il regista Keaton è al di qua e conosce. Semplicità nella complessità.

Dialettica della poesia.

Da La linea dell’occhio n.


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