di Gianni Quilici
La storia c’è. C’è l’inizio: la donna in coma irreversibile per un incidente nautico; il marito (George Clooney), disperato con propositi di cambiare il suo rapporto con lei, di amarla, di farci viaggi insieme; una spazio di terra incontaminata, siamo nelle Hawaii, che sta per essere venduta dal marito, avvocato ricchissimo e laborioso, e dai suoi numerosi parenti, pur sapendo che sarà devastata da megahotel, da campi da golf ecc.
C’è lo sviluppo della storia: la scoperta, comunicatagli dalla figlia primogenita (Shailene Woodley), che la moglie lo tradiva, il grande dolore, la reazione, il desiderio di scoprire chi sia l’amante.
C’è la conclusione, che dovrebbe piacere a chi vuole una storia classicamente distesa e concatenata a sentimenti, per così dire, morali, anche se la fine sarà solo in parte gratificante.
Cosa manca invece al film? Un punto di vista più complesso. Un punto di vista che confligga con il protagonista, che lo costringa ad approfondire se stesso, le proprie convinzioni morali.
Invece Alexander Payne, pur non identificandosi con il personaggio, ne condivide la stessa scala di valori, che non viene messa in discussione, neppure di fronte alle più grossolane delle uscite.
Alla moglie distesa nel letto, la bocca perennemente aperta, ormai inanimata, l’avvocato-marito rifila, sfogandosi, un monologo pieno di accuse ; mentre tratta con asciutto disprezzo l’uomo (Brian Speer) che di lei si era, a suo parere, approfittato. Si porta, invece, appresso per tutto il film il ragazzino della figlia di una insopportabile insensibilità e volgarità, quando avrebbe dovuto scaricarlo alla prima uscita idiota, ed è a lui, in un momento di difficoltà nel rapporto con le due figlie, che chiede consiglio. Infine il finale ecologico-consolatorio: la scelta di non vendere quel pezzo di paradiso incontaminato contro i desideri dei parenti.
Si potrebbe obiettare: Payne vuole appunto rappresentare la normalità del personaggio e delle situazioni. Ma è un personaggio, da cui non si distacca, in cui, contrariamente a quanto affermano alcune ricostruzioni critiche, non c’è un ripensamento ne’ su di sé, ne’ sul suo rapporto di coppia. L’avvocato, infatti, scarica sull’amante e, parzialmente sulla moglie, questo dolore e non agisce sulla figlia, che ha lo stesso atteggiamento emotivo. Ed alla fine la tipologia che di lui risulta è nobile, quasi un detective che scopre e sistema l’amante, altrettanto ricco, ma privo di scrupoli, e salva quella costa e quella collina da una selvaggia speculazione.
George Clooney, in un ruolo diverso dal solito, si dimostra grande interprete e non si può non essere d’accordo con Valerio Caprara quando scrive che “ l’ammaliatore abituale Clooney disegna un personaggio spaesato e stropicciato con tale attrezzata, sinuosa e naturalistica finezza da fondersi perfettamente nel contesto ambientale e psicologico.”
PARADISO PERDUTO
REGIA: Alexander Payne
SCENEGGIATURA: Alexander Payne, Nat Faxon, Jim Rash
ATTORI:
George Clooney, Judy Greer, Shailene Woodley, Brian Speer, Matthew Lillard, Beau Bridges, Robert Forster, Rob Huebel, Patricia Hastie, Michael Ontkean, Mary Birdsong, Milt Kogan, Amara Miller, Nick Krause
FOTOGRAFIA: Phedon Papamichael
MONTAGGIO: Kevin Tent
PRODUZIONE: Ad Hominem Enterprises
DISTRIBUZIONE: 20th Century Fox
PAESE: USA 2011
DURATA: 110 minuti
Mary said,
Febbraio 25, 2012 @ 21:14bella recensione, io non l’ho visto ( ancora, per lo meno )