Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismaki
Posted by admin on Febbraio 16th, 2012
di Maddalena Ferrari
L‘immigrato clandestino ragazzo si intrufola in una storia dai colori sbiaditi o sporchi fuori dai nostri tempi (o da ogni tempo), comunque vecchi; come lo è il mestiere del lustrascarpe, ormai assimilabile all’accattonaggio e quasi scomparso; lo sono gli oggetti avvolti nella carta grezza e magari legati con uno spago, i soldi custoditi in un cassetto, le botteghe, le osterie, gli interni delle scabre abitazioni.
E incontra, per sua fortuna, personaggi anch’essi “fuori”, seri, malinconici, emarginati; se vogliamo, perseguitati, disgraziati, ma dignitosi, nei loro vestiti lisi, démodé: Marcel Marx, il protagonista (uno smunto, tagliente André Wilms), la moglie Arletty (la sempre impenetrabile Kati Outinen), i bottegai del quartiere del porto, che grazie a questa intrusione sono stanati fuori dai loro recinti di paure, diffidenze e rancori, e il poliziotto “giusto” Monet (Jean-Pierre Darroussin, l’attore di Guediguian).
Le citazioni cinematografiche (Carné, Chaplin) e culturali sono un divertimento serio, niente di civettuolo e ostentato, si traducono in una sorta di dichiarazione di intenti etico-estetica; come lo è la scelta, abituale del regista, di un linguaggio sobrio, scarno, ellittico.
E se il realismo è nella concretezza della materia, dei corpi e nella miseria e nello squallore di una realtà sociale, dove le differenze di classe e le regole che governano l’ordine mostrano la loro faccia disumana e violenta, nella struttura e negli esiti del racconto è la fiaba che, con qualche sconcerto, forse, nello spettatore, prevale e segue il suo percorso tortuoso, tra impedimenti e cattivo di turno, aiutanti e miracoli, per giungere al lieto fine.
Come a dire che i buoni si devono unire e, se lo fanno, possono o devono vincere.
MIRACOLO A LE HAVRE