Re-visione. “Into the Wilde” di Sean Penn

imagesdi Gianni Quilici

Saltiamo tutta la storia di questo ragazzo di poco più di 20anni, Christopher McCandless, autodefinitosi Alex Supertramp, che facilmente possiamo trovare nel web, ed entriamo risolutamente in “Into the Wild”.

Il viaggio che il giovane intraprende nasce da due esigenze profonde: come rivolta verso una famiglia, da cui è stato oppresso e ferito; e dal bisogno di conoscere, di sperimentare se stesso, di dare un nome alle cose, di sfidare la natura e di connettersi con essa, di oltrepassare i limiti e così via. Come bisogno esistenziale, più ancora che come bisogno estetico.

E’ tuttavia vive in lui un’immaginazione estetica che lo influenza moltissimo attraverso romanzi e autori come Jack London e Davide Thoreau, Lev Tolstoi e Knut Hamsun. Curiosamente non appare mai la beat generation dei Kerouac e dei Ginsburg, forse perché il ragazzo ricerca, più ancora che il viaggio, il connubio con la natura più selvaggia e solitaria, una sorta di simbiosi contemplativa che Sean Pean ci mostra soprattutto nella panoramica a 360 gradi tra luce e montagne, che bene potrebbe rappresentare quei versi di Giuseppe Ungaretti: M’illumino/ di immenso.

Forse anche perchè il suo è un viaggio individuale, prodotto di una crisi profonda e di un universo totalmente diverso rispetto ai movimenti e alla cultura degli anni sessanta, perché ciò che è rimasto, lo vediamo in alcuni incontri, è poca cosa e totalmente ai margini sociali e culturali.

Into the Wild” è, però, troppo lungo rispetto al materiale rappresentato e al come viene rappresentato: una galleria di personaggi tutti simpatici, perché disponibili verso il ragazzo e l’esistenza, che molto si rassomigliano tra loro, quasi intercambiabili.

Inoltre il giovane rimane troppo detto, poco misterioso.

La sua filosofia esistenziale risulta fin troppo ripetitiva: lui che scrive, la voce fuori campo della sorella che lo racconta, le didascalie tratte dai libri che legge.

La parte più riuscita è forse il finale, perché è lì che Alex si trova più a lungo di fronte a se stesso, è lì che la dialettica tra l’esserci e la presenza dello sparire è fortissima, è lì che il rapporto tra sé e il creato diventa simbiotico, è lì che angoscia, amore e perdono sono alti e credibili; è lì che, però, Sean Penn ha l’intelligenza e la rigorosità di passare dalla soggettiva di Alex nell’estremo attimo della sua esistenza ad una oggettiva in cui il giovane, visto attraverso i vetri del bus, progressivamente si allontana fino a sparire con l’immagine in campo lunghissimo del bus nello spazio grandioso e deserto dell’Alaska. Ossia Sean Penn nel momento stesso in cui è partecipe di una tragedia è anche consapevole, per così dire, di una sconfitta o di un limite, che questa sfida comportava: la forza di una natura grandiosa e inesorabile nel suo silenzio apparente rispetto ad Alex, alla sua impreparazione e ingenuità.

Into the Wild

Regia Sean Penn

Soggetto Jon Krakauer

Sceneggiatura Sean Penn

Produttore Art Linson, Sean Penn William Pohlad

Distribuzione (Italia) BiM Distribuzione

Fotografia Éric Gautier

Montaggio Jay Cassidy

Musiche Eddie Vedder, Michael Brook Kaki King

Scenografia Derek R. Hill

Costumi Mary Claire Hannan

Interpreti e personaggi

Emile Hirsch: Christopher McCandless

William Hurt: Walt McCandless

Marcia Gay Harden: Billie McCandless

Jena Malone: Carine McCandless

Hal Holbrook: Ron Franz

Catherine Keener: Jan Burres

Brian Dierker: Rainey

Kristen Stewart: Tracy Tatro

Vince Vaughn: Wayne Westerberg

Paese Stati Uniti d’America

Anno 2007

Durata 140 min


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