“Terraferma” di Emanuele Crialese

di Gianni Quilici

terraferma crialeseCom’è il film di Crialese?” mi chiede un amico al telefono. “Bello! E comunque da vedere!” “A me mi fa un’impressione come se lo avessi già visto!” ribatte.

Penso che sia un’impressione determinata dal genere di film che ci si prefigura quasi inevitabilmente: di impegno civile, di denuncia, con i soliti immigrati, la violenza e la solidarietà ecc, ecc; O forse, ma più difficile, perché si svolge in un’isola col mare dominante, come in “Respiro”.

Leggo poi su Il manifesto la nota recensiva di Roberto Silvestri, stranamente tutta aprioristicamente politica; o quella dell’Unità, in un articolo non firmato, che rimprovera al regista di non aver fatto diventare gli stranieri “personaggi, ne’ tantomeno persone” e di aver girato gli sbarchi e gli annegamenti “ con stile estetizzante”

Mah! Crialese merita di più. E’ vero che qualche inquadratura estetizzante si vede, ma nella sostanza ha realizzato un film civile e politico articolato e profondo, che qua e là colpisce emotivamente e diventa poesia.

Il tema di fondo è abbastanza noto: l’arrivo di migranti dal mare con un barcone e poi disperatamente a nuoto in un’Italia persa nel suo consumistico benessere, con uno Stato chiuso e brutale, con una parte della popolazione (dell’isola), che tuttavia conserva la memoria e il dovere del salvataggio e della accoglienza.

In Terraferma ci sono quindi molti personaggi, che interpretano e simboleggiano queste realtà: dagli indigeni che si sono venduti al turismo ai pescatori che non vogliono rinnegare la loro memoria, dai vacanzieri manovrati e viziati agli stranieri disperati e ricercati. Ci sono poi le figure che stanno dentro questo passaggio di epoca, che vivono in contraddizione.

Una di queste (figure), forse la principale è Filippo (Filippo Pucillo), ventenne orfano di padre, che vive con la giovane mamma (Donatella Finocchiaro) e il nonno (Mimmo Cuticchio), pescatore, legato alla legge, non scritta ma praticata, del soccorso in mare. Filippo è da una parte ingenuo e un po’ sprovveduto nei rapporti con i coetanei, da cui rimane abbastanza isolato, e con la graziosa turista biondina, di cui si innamora con il candore di un fanciullo; e dall’altra cerca di adattarsi al nuovo, facendo il bagnino, ma diventa furioso di fronte all’ingiustizia e alla sopraffazione dello Stato. La sua non è una rivolta razionale, è istintiva e si mescola al dolore e alla rabbia della delusione amorosa subita. L’approccio con la ragazza fallisce e Crialese è bravo a rappresentarlo quasi senza parole, cogliendone l’impossibilità esistenziale e culturale, nonostante l’attrazione fisica, che è reciproca. Un ritratto, insomma, implicito, da leggere internamente attraverso i fatti, il comportamento.

Ma pure è importante e sostanzialmente riuscito il personaggio difficile della donna incinta, raccolta in mare dal nonno.

E’ importante perché attraverso di lei emergono anche gli altri profughi, altrimenti ridotti solo a corpi e ad occhi. Ed è riuscita, perché è una figura che, oltre che realistica, può diventare simbolica, perché la straordinaria bellezza dei lineamenti è illuminata dall’intensità e dalla dignità con cui esprime il suo dolore. L’interprete (Timnit T) poi non è una modella o un’attrice, come si potrebbe pensare, ma una donna, che questa esperienza aveva davvero vissuto.

Ha detto Crialese in una interivista riportata a Movieplayer.it:

Era l’agosto 2009 e mentre tornavo da Lampedusa a Roma è uscita la notizia di uno sbarco tragico nei pressi dell’isola, si trattava di un’imbarcazione rimasta alla deriva per tre settimane con settantanove persone a bordo, di cui settantatre morti e quattro sopravvissuti, tre uomini e Timnit. Il suo volto mi ha colpito al cuore quando ho aperto il giornale, sono rimasto come ipnotizzato, il suo era il volto di una donna che ha visto l’inferno. Ricordo che c’erano persone che arrivavano vicino alla sua barca per portare acqua e cibo, poi si allontanavano di nuovo. Per lei tutto era a portata di mano, ma era come se ci fosse un limite invalicabile che non poteva essere superato.

Il mare è il protagonista visivo di Terraferma e si intuisce ancora di più quanto il regista lo ami e lo sappia rappresentare cinematograficamente con la musica irrefrenabile e vasta di Franco Piersanti, con una serie di inquadrature variegate, che lo colgono come orizzonte e apertura, come pericolo e lotta, come grandezza e mistero, come “luogo”, scrive Marzia Gandolfi “ di infinite risonanze interiori”

Il finale magnifico,come lo fu quello di Respiro, con l’inquadratura totale in campo l’unghissimo, dall’alto in basso, della barca, minuscolo segno tra mare e cielo, che sfida la legge ingiusta e i pericoli di una traversata verso la terraferma. Un finale ancora una volta simbolico e poetico, sospeso ed aperto verso un futuro incerto.

terraferma-donatella-finocchiaro_31929570_201x267TERRAFERMA

Regia: Emanuele Crialese

Interpreti:

Donatella Finocchiaro (Giulietta)

Beppe Fiorello (Nino)

Mimmo Cuticchio (Ernesto)

Martina Codecasa (Maura)

Filippo Pucillo (Filippo)

Tiziana Lodato (Maria)

Claudio Santamaria (Santamaria)

Timnit T. (Sara)

Filippo Scarafia (Marco)

Pierpaolo Spollon (Stefano)

Rubel Tsegay Abraha (Omar)

soggetto:

Emanuele Crialese

sceneggiatura:

Emanuele Crialese, Vittorio Moroni

musiche: Franco Piersanti

montaggio: Simona Paggi

costumi: Eva Coen

scenografia: Paolo Bonfini

fotografia: Fabio Cianchetti

suono: Pierre Yves Lavoué

casting: Chiara Agnello

aiuto regista: Emiliano Torres

produttore: Riccardo Tozzi, Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Fabio Conversi

Paese: Italia/Francia

Anno di produzione: 2011

Durata: 88′

Cheri said,

Settembre 16, 2011 @ 15:22

Mettendo a confronto Terraferma e Respiro mi è piaciuto Terraferma molto di più. È stupendo.

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