di Gianni Quilici
79 minuti in una stanza con qualche incursione nel corridoio. All’inizio si può pensare: come possono resistere? Resistono e sorprendono.
Il film è spietato. Le due coppie si incontrano, perché il piccolo di una delle due, Nancy (Kate Winslet) e Alan (Christopher Waltz), ha spezzato due incisivi con un bastone al figlio dell’altra coppia, Penelope ( Jodie Foster) e Michael ( John Reily).
L’inizio, pur ricco di convenevoli e cortesie, presenta già qualche smagliatura, ma quando entra in gioco un altro protagonista, il cellulare diAlan, figura magnifica di cinismo,ecco che i rapporti si fanno progressivamente e rapidamente più conflittuali. E’ una conflittualità che coinvolge tutti: una coppia contro l’altra, le coppie al loro interno, i maschi (complici) contro le femmine e viceversa in una girandola continua, in cui entra in gioco un altro elemento, tipicamente polanskiano: la comicità.
E’ una comicità geniale, perchè nello stesso tempo che smaschera il “buonismo” (la velleità di Penelope, paladina dei popoli che soffrono, o la apparente disponibilità di Nancy) sembra inneggiare allo strafottente cinismo di Alan, con le irresistibili interruzioni oggettivamente comiche del cellulare, che interagisce come contrappunto, con la tensione venutasi a creare; o al cinismo non meno feroce di Michael, che, più nascosto all’inizio, esplode poi nella sua naturale brutalità. Carnage è, quindi, il trionfo del cinismo non più come colpa, ma al contrario come regola e normalità, esibizione e modello.
Il film inizia con un’inquadratura fissa in campo lungo in un giardino, dove uno dei due ragazzi colpisce l’altro, e termina, nel pieno della tragicommedia, con un salto improvviso di montaggio, ancora nello stesso giardino, in una situazione idilliaca, in cui gli stessi ragazzi giocano serenamente. Più che una realtà sembra un auspicio, una speranza o meglio un’indicazione data sorridendo: “Ragazzi, state lontani dalle quattro mura dei vostri genitori…”
“Carnage” vive la grandezza di questa dialettica, mai pretestuosa, sempre motivata, da cui non si può uscire, quasi Angeli sterminatori disillusi degli anni 2000, a cui prestano corpi e voci quattro grandi attori. Un quartetto eccezionale, tra cui non si saprebbe sceglierne il migliore. Ognuno di questi interpreta un carattere, in certi casi una precisa tipologia sociale. Polanski progressivamente li spoglia, tranne Alan già evidente dall’inizio, della maschera che indossano fino a quando si mostrano a noi nudi: disperate, le donne; apparentemente soddisfatti, i maschi.
Ci si potrebbe chiedere. Ma c’è un’alternativa? L’alternativa è solo nella lucidità e nel distacco di Polanski. Nel suo dirci:”Così va (è) il mondo”. Ecco questo che è il pregio di Carnage può essere forse il suo limite come mi pare lasci capire, qui sotto, Simona Cappellini. La domanda, che lascio sospesa, va oltre la pellicola ed è questa: “Questa “normale mostruosità”, che il film rappresenta ha la forza di diventare una metafora del nostro tempo?”
“normale mostruosità” purtroppo mi sembra un’angosciante metafora del tempo che noi viviamo; non basta riconoscerla, rappresentarla, quello che serve è cercare come andare oltre
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Simona Cappellini said,
Settembre 20, 2011 @ 10:36Ottime osservazioni Gianni, soprattutto la domanda finale…