di Gianni Quilici
Ken Loach è un regista politico, anche quando i suoi sono film più specificatamente sociali. Lo è, perché ha presente comunque il potere e le relazioni che esso determina con gli individui.
Ed è anche un regista, che ha sempre presente lo spettatore, la necessità di farsi capire e di coinvolgerlo anche emotivamente.
In “L’altra verità” c’è l’ Iraq, una guerra tragica ed assurda, senza senso, né razionalità : una strage sociale quotidiana che colpisce indiscriminatamente attori e comparse, innocenti e colpevoli, dietro cui si nascondono, come sempre nelle guerre, grossi interessi economici e politici.
Qui i protagonisti sono i “contractors”, mercenari assoldati come guardie di sicurezza da potenti compagnie, con licenza di uccidere.
Nel film uno di questi, Frankie, muore lungo la Route Irish, la strada che porta dalla Green Zone
al centro città, 12 Km circa considerati tra i più pericolosi nel Pianeta.
L’amico, Fergus, quasi un alter ego, non può rassegnarsi a questa morte: vuole scoprire ad ogni costo la verità. Chi ha ucciso Frankie, al di là delle dichiarazioni ufficiali?
E’ un film, mi è venuto da pensare, “estremistico”, sia esistenzialmente che politicamente.
Esistenzialmente, perché il rapporto quasi simbiotico che correva tra i due amici crea in Fergus una continua tensione adrenalinica di corpo e di psiche, che non si può acquietare, che non trova momenti di mediazione, di riposo, che cresce, anzi, con le scoperte che il protagonista via via fa o crede di aver fatto e con i sensi di colpa che queste fanno maturare dentro di lui.
Ma è estremistico anche politicamente. Fergus, infatti, non ha fiducia nella giustizia, non ha orizzonti alternativi in cui credere, se non quello di una vendetta spietata e privata e, al di là di quella, l’autodistruzione.
Il finale è coerente con lo svolgimento, ma rimane l’impressione di una eccessiva linearità, di uno schematismo, che sotto ad una ammirevole secchezza di scrittura cede ad un poeticistico di maniera. I sensi di colpa che Fergus accumula nel corso del film verso gli orrori gratuiti della guerra da un lato, e verso l’amico che ha pagato con la morte la sua rivolta dall’altro, possono motivare la scelta di Fergus di morire?
Discutibile una scelta così perentoria. Il suo suicidio non commuove, perché Fergus è un combattente roccioso, che ha attraversato mille orrori, e, al di là delle motivazioni presenti nella sceneggiatura di Paul Laverty, questa scelta semplifica il suo personaggio e suggerisce l’idea di un processo, in qualche misura, identificativo, tra gli autori e il protagonista.
Gli attori, sopratutto Mark Womack, si calano bene nei personaggi, la fotografia di Chris Menges è molto efficace, il montaggio suona sempre la carica con i suoi contrasti forti e improvvisi, in cui la fiction si mescola necessariamente con il documentario, vero o ricostruito che sia.
L’ALTRA VERITA‘
Titolo originale: Route Irish
Regìa: Ken Loach
Sceneggiatura: Paul Laverty
Fotografia: Chris Menges
Montaggio: Jonathan Morris
Scenografia: Fergus Clegg
Musica: George Fenton
Interpreti principali: Mark Womack, Andrea Lowe, John Bishop, Geoff Bell, Jack Fortune, Talib Rasool, Craig Lundberg
Produzione: Sixteen Films, Why Not Productions, Wild Bunch
Distribuzione: BIM
Paese: G.B., Francia, Belgio, Italia, Spagna, U.S.A. 2010
Durata: 109 min.