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Stefano Simone (1986) compie un ulteriore passo avanti nella sua carriera cinematografica. Ricordiamo gli acerbi ma incoraggianti cortometraggi Il delitto di classe (1999), Fear – Paura (2000), Madre delle tenebre (2001), Gli occhi del teschio (2001), Il gatto nero dalle grinfie di sciabola (2005), Istinto omicida (2006), Infatuazione (2006), L’uomo vestito di nero (2007), Lo storpio (2007) e Contratto per vendetta (2008). I suoi corti migliori, scritti e sceneggiati con la collaborazione dell’ottimo Emanuele Mattana (1980), sono i più recenti Kenneth (2008) e Cappuccetto Rosso (2009), quasi due medio metraggi, visto il respiro maggiore. Stefano Simone debutta con un lungometraggio incoraggiante come Una vita nel mistero (2010), un film difficile che parla di fede, speranza, amore coniugale ed eventi miracolosi, ascrivibile al genere drammatico, sostanzialmente religioso, ma ricco di effetti speciali e di rimandi alla cinematografia di genere italiana.
Unfacebook (2011) è il suo nuovo film che lo riporta al genere thriller – horror, mescolando zombie movie, tematiche noir de Il giustiziere della notte (1974) di Michael Winner, suggestioni del cinema nero italiano e francese.
Sarei la persona meno indicata a parlare di questa pellicola, perché il soggetto di Unfacebook deriva dal mio racconto inedito Il prete, che il regista e gli sceneggiatori hanno abilmente rimaneggiato e modificato secondo le necessità del linguaggio visivo. Lo faccio ugualmente perché la trasposizione scenica mi ha convinto, cosa insolita ma che con Stefano Simone capita spesso, visto che anche la sua versione del mio Cappuccetto Rosso mi lasciò abbastanza soddisfatto.
Tra l’altro il regista ha aggiunto nel film elementi personali per sviluppare un discorso interessante contro l’uso smodato di chat e social network. Non solo. Ha approfondito la psicologia dei personaggi e ne ha inseriti di nuovi del tutto assenti nel breve racconto, incentrato soltanto sulla figura del prete. Il commissario di polizia che indaga sugli orribili delitti e sugli assurdi suicidi che si verificano a ripetizione è una figura molto più complessa rispetto al racconto. Un suggestivo flashback iniziale ci riporta all’infanzia del commissario, quando da bambino aveva assistito a un omicidio, ma altri ricordi del passato mostrano lo stesso ragazzino in collegio oggetto di attenzioni da parte di un vecchio parroco.
La storia si racconta in poche righe. Un prete di provincia è stanco di assolvere i peccatori, ritiene che Dio non debba sempre perdonare ma che in certe situazioni serva una punizione esemplare. Il prete utilizza le sue conoscenze informatiche e vecchi studi di ipnosi per convincere tre peccatori a suicidarsi in maniera orrenda, quindi decide di costituire un esercito personale di vendicativi Cavalieri Templari. La chat Unfacebook è il luogo dove raccoglie i futuri servitori che ipnotizza e rende simili a zombi. Alcuni giovani, guidati da una ragazza, diventano la mano della giustizia, uccidono persone riprovevoli che a giudizio del prete meritano soltanto la morte. Colpiscono sotto ipnosi, come longa manus del sacerdote, veri e propri zombi privi di volontà.
Non anticipo il finale perché siamo di fronte a un thriller girato in maniera frammentaria e nervosa, fatto di momenti spiazzanti, costruito su suspense e tensione. L’epilogo presenta una soluzione narrativa diversa da quella del racconto, ma vicina a un certo cinema italiano che ho sempre amato. Le ultime sequenze di Unfacebook ricordano le oniriche e geniali conclusioni scritte da Dardano Sacchetti per Lucio Fulci ne L’Aldilà o in Paura nella città dei morti viventi.
Unfacebook è un buon film, stilisticamente pregevole, girato con una fotografia che vede colori dominanti il bianco e il blu (non a caso i colori di Facebook), ma pure il bianco e nero, il grigio e i toni scuri. Il montaggio è rapido e la suspense non manca, cosa non scontata in un film indipendente italiano; la narrazione è omogenea e non ci sono buchi di sceneggiatura. Merito di Pia Conoscitore, Dargys Ciberio e Antonio Universi, oltre che del regista.
Simone riprende le zone più degradate di Manfredonia per costruire un’atmosfera noir, ma spesso cita anche Pier Paolo Pasolini (Accattone, Mamma Roma…) quando si sofferma su palazzi cadenti e borgate di periferia.
Interessante la tecnica usata in diversi momenti della storia che si svolgono nel centro cittadino, sia per la rapida soggettiva che per il disegno animato stilizzato che prende il posto delle immagini girate. Simone usa il genere thriller – horror non fine a se stesso, ma per affrontare i problemi della società contemporanea, per criticare l’uso smodato dei social network, del cellulare e delle chat, per raccontare una generazione priva di sogni e per analizzare il cambiamento della vita in provincia. “Il fine giustifica i mezzi”, dice il prete mentre insegna filosofia a svogliati e disinteressati studenti, facendo propria una massima di Nicolò Machiavelli che introduce molto bene a quello che sarà il suo modo di fare giustizia.
Alcune parti sono troppo didascaliche. Citiamo il primo colloquio tra questore e commissario sui mali della provincia, che ricorda i dialoghi di Frank Wolff e Luigi Pistilli in Milano Calibro 9 di Fernando di Leo. Un’altra parte troppo lunga e verbosa è la giustificazione psicologica sui danni prodotti dall’uso sbagliato dei social network e di Internet. Ma sono due episodi che si perdonano nel quadro di un lavoro che soddisfa il palato degli amanti del cinema di genere quando mostra suicidi e omicidi molto efferati. Simone non si risparmia negli effetti speciali, soprattutto quando mette in scena un episodio di auto evirazione che ricorda il cinema più estremo di Joe D’Amato (Papaya dei caraibi, ma anche Antropophagus). Gli attori se la cavano egregiamente, spesso recitano con le espressioni del volto più che con le parole, ma sono tutti piuttosto bravi, soprattutto Paolo Carati e Giuseppe La Torre, che ricoprono i ruoli fondamentali di prete e commissario. I ragazzi zombi (zombi sui generis, visto che non sono morti ma solo privati della volontà) sono perfetti e credibili, i loro omicidi sono efferati al punto giusto e per niente prevedibili.
La colonna sonora di Luca Auriemma, a base di musica sintetica, con sentori psichedelici che ricordano i Goblin e i vecchi film di Dario Argento. La musica accompagna i momenti di maggior tensione della pellicola e contribuisce a creare la suspense.
Unfacebook è un film da vedere perché è un nuovo tassello per costruire la rinascita del cinema di genere italiano. Per il momento sappiamo che verrà presentato a Manfredonia nel mese di ottobre, alla presenza del regista e del cast al completo. Spiace che registi come Simone, Albanese, Lombardi, Zuccon, e altri giovani autori incontrino difficoltà distributive. Hanno più idee di tanti mostri sacri del passato ormai capaci soltanto di replicare loro stessi.
Per vedere il trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=AGEnMs7DaPg&feature=youtu.be
Regia, Fotografia e Montaggio: Stefano Simone. Soggetto: dal racconto Il prete di Gordiano Lupi. Sceneggiatura: Pia Conoscitore, Dargys Ciberio, Antonio Universi. Musiche: Luca Auriemma. Formato: 16:9 widescreen (1.77:1). Audio: Stereo PCM. Genere: Thriller. Durata: 75’. Patrocinio del Comune di Manfredonia, dove è stato interamente girato. Produzione: Jaws Entertainment. Interpreti: Paolo Carati, Giuseppe La Torre, Tonino Pesante, Fabio Valente, Tonino Potito, Filippo Totaro, Pia Conoscitore, Sabrina Caterino, Mimmo Nenna, Ivano Latronica, Grazia Orlando, Tecla Mione, Dino Mione