di Maddalena Ferrari
Un grande Colin Firth vive le contraddizioni e i turbamenti del suo personaggio, il duca di York, divenuto poi re Giorgio VI, attraverso gli occhi, la bocca, la pelle di un volto sensibile, capace di esprimere le sfumature anche minime di passioni e stati d’animo ed i passaggi, graduali o improvvisi, tra loro.
E’ un personaggio regale, protagonista di una storia regale, e come tale immedesimato nel rango e nelle distanze frapposte con le altre persone, ciò che comporta alterigia e, in certi casi, arroganza. Ma è anche un personaggio oppresso, oltreché dalla balbuzie, anche da un senso di inadeguatezza verso il ruolo che ha inizialmente e soprattutto verso quello che, suo malgrado, sarà costretto ad assumere; in più, si renderà in qualche modo consapevole della problematicità della sua figura e di una responsabilità di cui scoprirà di dover farsi carico nei confronti dell’uomo comune.
Non siamo di fronte ad un’analisi, né tantomeno ad una presa di posizione politica; ma nemmeno ci troviamo dentro una sorta di melassa della serie “anche i ricchi piangono”. Il personaggio ha plausibilità e leggerezza, legate all’interazione con il proprio mentore, Lionel Logue, logopedista dai metodi singolari, che lo aiuta con la psicologia, il teatro, la conquista di un legame più armonico tra il corpo e la mente, ed instaura con lui, da subito, un rapporto da pari a pari.
E’ la narrazione di questo incontro, contraddittorio e nel primo approccio difficile, che si trasforma poi in una relazione di rispetto, fiducia ed in fondo profonda amicizia, ad essere l’altro elemento forte del film. Il percorso infatti, pur avendo un andamento convenzionale
( iniziale rifiuto, poi accettazione, primi progressi, crisi, ricomposizione e, a quel punto, decisa volontà del re di imporre l’amico all’entourage di corte; infine il successo del discorso del sovrano radiotrasmesso alla nazione, in occasione della dichiarazione di guerra alla Germania di Hitler ), è sostenuto da un ritmo ben calibrato nella scansione degli episodi e dalla consistenza dei due personaggi. Anche il contraltare del re, attore shakespeariano fallito, dotato di intelligenza, determinazione, capacità di capire gli altri e di agire su di loro, ha una sua storia e una sua corposa personalità, cui Joffrey Rush, col suo volto scolpito, dà un robusto contributo di piacevole gigioneria e di ironia.
Il resto: le rispettiìve famiglie dei due uomini, che comunque sono poco invadenti e tratteggiate con misura; il romanzo collaterale del fratello maggiore del re, completamente plagiato da un’ambiguissima Wallis Simpson; i protagonisti politici; l’ambientazione filologicamente curatissima; la colonna musicale ( Mozart e Beethoven ); il finale, con tutti i cittadini del Regno, che ascoltano compatti il discoso del loro sovrano, e le didascalie, che ci ragguagliano sul ruolo assunto da quest’ultimo a sostegno del suo popolo e ci danno informazioni sul prosieguo del buon rapporto tra i due protagonisti, tutto fa parte di una messa in scena tipca di un prodotto che vuol piacere al grande pubblico, ma che risulta comunque dignitoso e gradevole e presenta spunti di interesse
IL DISCORSO DEL RE
Titolo Originale: THE KING’S SPEECH
Regia: Tom Hooper
Interpreti: Colin Firth, Guy Pearce, Helena Bonham Carter, Timothy Spall, Geoffrey Rush, Jennifer Ehle
Costumi
Jenny Beavan
Sceneggiatura
David Seidler
Effetti
Mark Holt
Fotografia
Danny Cohen
Musiche
Alexandre Desplat
Montaggio
Tariq anwar Dreville
Scenografia
Eve Stewart
Durata: 111 min.
Nazionalità: Australia, Gran Bretagna 2010
Mary said,
Marzo 29, 2011 @ 20:10Sì, anche secondo me il film presenta diversi spunti d’interesse