di Gianni Quilici
Una donna in primissimo piano. Una donna intorno ai 60 anni, che cerca di sfuggire allo sguardo, uno sguardo che su di lei indaghi. Lei sembra avere un unico problema: non riesce a dormire e perciò vuole soltanto un farmaco che ciò le permetta. La dottoressa, che all’inizio sentiamo soltanto parlare, le fa delle domande sulla sua vita. Lei non risponde, non vuole rispondere, è infastidita. Il suo è un volto chiuso, oppresso senza futuro. La dottoressa non insiste troppo, le prescrive un farmaco e le consiglia un colloquio con la psicologa. La psicologa Gerri, insieme al marito geologo Tom, saranno poi il centro intorno a cui ruoteranno gli altri protagonisti. La donna, invece, sparirà dal film.
Da subito ritroviamo il cinema di Mike Leigh.
Lo scenario del suo cinema è, infatti, la vita quotidiana, quella più dimessa, meno cinematografica, scandita, in questo film, dal ritmo delle quattro stagioni: e quindi il lavoro nell’orto, la preparazione del pranzo, la chiacchiera…, in cui emergono nell’insieme affetti, ma anche e forse soprattutto malessere e infelicità. Anche la musica sottolinea questa quotidianità: tocchi leggeri di chitarra; e anche quando il volume si alza e si amplifica l’effetto musicale è sempre quella di una continuazione, mai di un salto, di un cambio di ritmo e di orizzonte.
La coppia è la serenità, l’equilibrio, l’armonia. Tra loro, infatti, durante il film, non ci sarà mai conflitto, ma affetto, quel tipo di affetto sperimentato e saldo, in cui, tuttavia, sembra assente il desiderio. Hanno un figlio avvocato trentenne, Joe, che troverà una compagna affettuosa e brillante, e alcuni amici e colleghi di lavoro.
Tra questi c’è Mary, il personaggio poeticamente e sociologicamente più alto del film, collega di lavoro di Gerri, di lei più giovane, ancora attraente, in attesa da anni, inutilmente, di un amore e che, in questo scorrere delle stagioni, sarà ancora una volta frustrata per le velleitarie fantasticherie covate verso il più giovane Joe.
Mary è, infatti, la figura meglio caratterizzata da Mike Leigh sia nella costruzione psicologica che nella felicissima interpretazione di Lesley Manville, perché ha una personalità fragilissima, molto bisognosa di affetto, di cui non è tuttavia consapevole, che cerca, infatti, di nascondere recitandosi una parte, da cui rimane sempre oppressa.
Il finale del film è magnifico: l’inquadratura si ferma su di lei, sul suo volto muto, perso e angosciato, dopo un movimento lento, stretto, ma inesorabile della macchina da presa sui volti degli altri protagonisti, tranquillamente seduti, mentre chiacchierano intorno alla tavola apparecchiata.
C’è, a mio parere, un limite, nel film, che trovo diseguale, diversamente da una pellicola dello stesso Leigh, slisticamente simile, come “Segreti e bugie”, in cui tutto era, invece, necessario. Il limite lo trovo nella coppia, nella loro serenità lineare, senza increspature, perché finisce per essere, oggettivamente, il punto di vista del regista.
Perché? Per il fatto che la coppia non è mai messa in discussione: ne’ al loro interno, l’uno con l’altro, ne’ attraverso altri personaggi. E le loro “chiacchiere” da un lato non hanno la profondità di capire ciò che li circonda, ne’, a volte, una necessità ne’ narrativa, ne’ psicologica, rallentano soltanto la tensione emotiva e sotterranea del film.
Gli attori, come sempre in Leigh, recitano con la consueta impareggiabile naturalezza.
REGIA: Mike Leigh
SCENEGGIATURA: Mike Leigh
ATTORI: Jim Broadbent, Lesley Manville, Ruth Sheen, Peter Wight, Oliver Maltman, David Bradley, Imelda Staunton, Martin Savage, Karina Fernandez, Michael Austin, Philip Davis, Stuart McQuarrie
MONTAGGIO: Jon Gregory
MUSICHE: Gary Yershon
PRODUZIONE: Film4, Focus Features, Thin Man Films
DISTRIBUZIONE: BIM
PAESE: Gran Bretagna 2010
DURATA: 129 Min
Sono d’accordo sulla bellezza del film. Di limiti non ne trovo tanti. Forse un po’ pesante. E poi non hai fatto risaltare secondo me una cosa importante: l’atteggiamento spudoratemente felice della coppia anziana, che appare così in contrasto alla tristezza degli altri. Fondamentale credo, la frase che Gerri dice in fondo a Mary e che rivela l’egoismo di fondo che si ciba di buonismo della coppia “felice”: prova ad andare dallo psicologo. Chiave del film come la scena finale del primo piano di Mary riassume il senso dell’opera che è un inno alla solitudine umana.
Per una volta sono d’accordo con te, Mario.
Se tu leggi bene, scrivo, infatti, che il limite del film è la coppia: buonista e poco acuta.
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Mary said,
Febbraio 20, 2011 @ 19:21La recensione mi piace e cercherò di vedere il film perchè mi è sembrato interessante…