“Noi credevamo” di Mario Martone

di Maddalena Ferrari

venezia-2010-noi-credevamo-550x365Dice Martone:“Noi credevamo non è un film sul Risorgimento (… ), ma su una sua parte.” La parte del Risorgimento che il regista racconta è quella del versante democratico e repubblicano, vissuto attraverso tre personaggi di fantasia, che si basano su figure storiche reali, ma di secondo piano.

I tre sono Salvatore, Angelo e Domenico, giovani meridionali, del Cilento, che decidono insieme, dopo aver assistito alla feroce repressione borbonica seguita ai moti del ’28, di iscriversi alla Giovine Italia. Uno di loro è popolano, figlio di contadini; gli altri due sono possidenti; del resto i patrioti risorgimentali erano nobili o borghesi, quasi assente l’elemento popolare.

Questi giovani partecipano ad alcuni moti mazziniani.

Mazzini è la figura chiave del film; compare poche volte, ma, nel taglio democratico del racconto, tutti fanno riferimento a lui, sia pure con distinguo, deviazioni, divaricazioni.

Mazziniana è stata Cristina Trivulzio di Belgiojoso, affascinante nobildonna esule a Parigi, la cui casa è un centro d’incontro per i democratici, che non crede più nei metodi insurrezionali di Mazzini e considera necessario motivare e concretamente realizzare il coinvolgimento popolare.

Mazziniano è stato anche Felice Orsini; egli sceglie la strada del gesto plateale, terroristico e organizza l’attentato contro Napoleone III, in cui viene coinvolto il più inquieto ed estremista dei tre amici, Luciano, che come Orsini finirà sulla ghigliottina.

Nel frattempo Salvatore è rimasto vittima del clima di sospetti che si respira fra cospiratori, ucciso da Angelo, che lo scambia per una spia.

Domenico passa lunghi anni nelle prigioni borboniche e lì, fra i compagni di reclusione, sperimenta la crisi del mazzinianesimo ed il passaggio di democratici e repubblicani all’idea di un’Italia indipendente e unita sotto la monarchia dei Savoia. Che è poi quello che accade nella realtà politica del tempo, dopo la sconfitta della repubblica romana e l’affermarsi di Cavour nel Regno di Sardegna.

Domenico sarà l’unico dei tre a vedere l’Italia unita, ma senza prendere parte a nessuna delle iniziative che l’hanno resa possibile; parteciperà invece ad uno dei primi “fallimenti” del nuovo Stato: l’episodio di Aspromonte, dove Garibaldi, organizzata una spedizione per liberare Roma, viene fermato dall’esercito italiano, in uno scontro, in cui viene ferito. La successiva repressione sabauda non sarà meno aspra di quella borbonica.

Nella parte finale del film, assistiamo ad una scena simbolica: Domenico punta la pistola contro Crispi, che, in un’aula parlamentare deserta, pronuncia un discorso, accolto in fondo da fantasmatici applausi, in cui espone le buone ragioni del passaggio dalle idee repubblicane a quelle monarchiche.

Martone ci racconta di una speranza e di una sconfitta, attraverso una storia complessa, costruita mediante un lungo lavoro di preparazione, alla base del quale ci sono la rilettura del romanzo “Noi credevamo” di Anna Banti e la ricerca di documenti storici, poi accuratamente selezionati.

Ma la Storia e i suoi protagonisti sono quasi interamente oltre gli episodi a cui assistiamo; episodi, che, per i cambiamenti di scenari, di tempi e di attori, a seconda delle diverse età dei protagonisti, poco si prestano ad una lettura lineare. Non si può seguire una logica dei fatti, che permetta di percorrere il filo della storia, o delle delle storie; ed è impossibile aderire ad un processo identificativo. Questo modo di procedere, unito ad una recitazione antinaturalistica, ad un’impostazione scenica teatrale, ai brani di opera lirica ( soprattutto Verdi ) scelti come accompagnamento musicale, è teso, a detta del regista, a produrre un ritmo ed un’ampiezza di tempi propri del melodramma ed a sviluppare nello spettatore una crescita emotiva progressiva.

Le vicende narrate sono di scarto, rispetto alla Storia ( ininfluenti? ). E tutto quel fermento, il tormento, anche, delle coscienze sono raggelati da una riflessione amara. Emblematico, oltreché molto intenso, l’episodio di Aspromonte: i seguaci di Garibaldi cantano la loro canzone di lotta; la notte è accesa dai fuochi sulle alture e si delinea per un momento, lontana, la sagoma dell’ “eroe” a cavallo; e dopo la sconfitta si sparge la voce: “Garibaldi è morto”.

Il “Noi credevamo” del titolo è un atto di fede e di speranza di allora, che si può e si deve applicare anche all’oggi, all’Italia di oggi. Martone dissemina il suo film di indizi di contemporaneità, come, macroscopico, l’ecomostro sulla bella costa campana; e dichiara espressamente: “L’ispirazione per questo lavoro (…) viene dal presente. E’ stato infatti il mio smarrimento personale, il desiderio di capire meglio la realtà che mi circonda a guidarmi verso questa storia”.

Nota: le citazioni di Mario Martone sono tratte dall’intervista rilasciata a Marco Spagnoli per Vivilcinema, N° 5- 2010

noicredevamo-18032571NOI CREDEVAMO

REGIA: Mario Martone
SCENEGGIATURA: Anna Banti, Mario Martone, Giancarlo De Cataldo
ATTORI: Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Toni Servillo, Francesca Inaudi, Andrea Bosca, Luca Zingaretti, Guido Caprino, Renato Carpentieri, Ivan Franek, Stefano Cassetti, Michele Riondino, Edoardo Natoli, Luigi Pisani, Andrea Renzi, Franco Ravera, Roberto De Francesco, Luca Barbareschi, Fiona Shaw, Alfonso Santagata

FOTOGRAFIA: Renato Berta
MONTAGGIO: Jacopo Quadri
MUSICHE: Hubert Westkemper
PRODUZIONE: ESKIMOSA, RAI CINEMA
DISTRIBUZIONE: 01 Distribution
PAESE: Italia 2010
DURATA: 170 Min


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