Un incontro con Maurizio Bartoli, una vita da proiezionista

Mi manca la poesia della pellicola!

a cura di Gianni Quilici

“Come era bello il rumore del fiocco della pellicola, la pellicola un po’ rigata!… Mi manca quella poesia… Oggi la cabina è fredda!” così mi accoglie Maurizio Bartoli, 53 anni da proiezionista in chissà quante sale della lucchesia!

Quando hai iniziato?

All’età di 8 anni con mio padre. Iniziai con il cinema estate, molti non lo sapranno, allo Stadio. Si montava il telone nel campo e il pubblico sedeva sulle tribune numerate. Dopo con mio padre si andava a montare le sale nei cinema parocchiali, che erano diffuse in molti paesi. Poi abbiamo avuto il cinema all’aperto al Giardino, in via Fillungo.

Ti ricordi qualche episodio particolare?

Beh, al cinema Giardino si meravigliavano di vedere un ragazzino appoggiato su una balaustra e allora la gente chiedeva “Chi è quello lassù!” “E’ l’operatore” “Ma è un ragazzo!” “E’ un ragazzo, ma fa l’operatore!” La mia storia è un po’ quella del ragazzo di Nuovo Cinema Paradiso.

Tuo padre ha mai avuto un cinema in gestione?

Sì, negli anni tra il ’50 e i ’60 abbiamo gestito il cinema Arci di S. Alessio. La gente allora voleva cinema. Tutte le sere, nonostante che le pellicole fossero sciupate, rigate, a volte massacrate, la sala era piena. Poi andai a lavorare per 100 lire la sera al cinema di S. Leonardo in Treponzio per il Larini. Tutte le sere partivo in bici da Lucca…

E il pubblico come era?

Un pubblico molto paesano, molto semplice. Qualsiasi cosa tu proiettassi piaceva. Ogni sera si cambiava pellicola. La gente chiedeva: “Che c’è domani sera?”. Mi ricordo le sale molto molto fumose, il ragazzino che vendeva caramelle, lo scricchiolìo delle noccioline…

Quando sei arrivato al Moderno?

Nel ’72. Venni chiamato dal signor Petri. Facevo il turnista tra Astra e Moderno. Quando entrai la proiezione veniva fatta a carbone. Non potevi mai allontanarti. Rischio incendio. La pellicola era molto facile ad infiammarsi. Si entrava alle 2 del pomeriggio e si usciva a mezzanotte. Eri lì inchiodato in quei 15 metri quadri. Un giorno vidi entrare un tizio e pensai: “Ma chi è quello lì ?”. Era Paolo Gialdini, che si dimostrò poi molto capace a gestire il locale e a rinnovarlo.

Mi ricordo dell’esperienza d’éssai del Centrale, in cui ci siamo anche conosciuti.

I miei anni migliori da proiezionista, anche se mi pesava un po’ perché dovevo sacrificare la famiglia, li ho passati al Centrale con Francesco Melani, una persona appassionata come poche per il cinema, e con voi del Circolo del Cinema. Ricordo i referendum sul “Film dell’anno”, i “compleanni”, il giornalino della “Linea dell’occhio”. Sentivo una passione verso il cinema, che mi coinvolgeva.

Li seguivi i film? E ci è stato un film che ti ricordi particolarmente?

I film li ho sempre visti tutti, ma quello che più mi ha colpito è stato Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante per quei colori netti, per la musica trascinante, per quel ragazzo che cantava in falsetto, per quella atmosfera strana… E’ un film che vorrei rivedere.

Il tuo cruccio?

Non ho mai proiettato La corazzata Potemkin.

Ed oggi?

Oggi l’operatore non è più l’operatore artigianale di una volta, che controllava la macchina, l’aggiustava, aveva un rapporto diretto col pubblico. Sentivi urlare “foco!” “quadroo!” “voceee!”. Oggi è la macchina che sostituisce l’operatore. Se la macchina non va, non c’è niente da fare. Devi chiamare l’assistenza. Però il cinema c’è stato e ci sarà sempre!


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