“Io sono l’amore” di Luca Guadagnino

di Simona Cappellini

tilda-swintonLa perfezione è qualcosa che spaventa in modo presagevole. Tutto torna, nella vita di una persona, finché c’è almeno una nota stonata. Quando tutto è perfetto, troppo perfetto, è allora che ci si può aspettare qualcosa di terribile dietro l’angolo.

Ma la perfezione è anche apparenza, come la felicità, perché entrambe hanno un grande difetto, come si sa, tendono ad essere noiose. Questo è il quadro che sembra volerci dipingere Guadagnino in Io sono l’amore, ma è anche – forse – la trappola in cui lui stesso cade stilisticamente.

La storia è quella di una facoltosa famiglia dell’alta borghesia milanese, la cui dinastia sembra frantumarsi con la morte del nonno-patriarca, e dei cambiamenti esistenziali che interessano alcuni dei membri, andando a sfociare in un prevedibile dramma. Una storia che potrebbe riallacciarsi a grandi film di saghe familiari, o al tipo di ambientazione drammatica dell’Innocente di Visconti, ma che per alcuni versi non riesce a collocarsi, restando sospeso in un proprio limbo – pregio o difetto – da cui, forse, difficilmente riuscirà ad uscire.

Ma è un limbo in cui cade anche lo spettatore, che non può fare a meno di lasciarsi coinvolgere dalla perfezione della trama, dall’incanto di alcune immagini, da una colonna sonora impeccabile che vede la firma di un grande compositore americano, John Adams (Premio Pulitzer per la musica nel 2003), ma che ad un esame più attento sente il proprio senso critico un po’ boicottato, come se il regista avesse voluto prenderlo e condurlo per mano in un percorso di lavoro sicuramente lungo e ricercato, ma che fin troppo evidentemente non può e non vuole lasciare spazio a intercapedini narrative che avrebbero potuto renderlo più interessante.

Impossibile ad ogni modo non apprezzarne le idee, alcune scelte tecniche e sicuramente l’estrema bravura di alcuni attori quali Tilda Swinton (anche produttrice del film), il cui personaggio è il centro nevralgico di tutta la storia, il nodo che tiene uniti tutti i fili della ragnatela familiare, che viene infatti a spezzarsi nel momento in qui la donna si lascia travolgere da un amore passionale.

Un film ambizioso che comunque riesce tutto sommato nel suo intento, al di là delle aspettative.

Io sono l’amore

di Luca Guadagnino

con Tilda Swinton, Flavio Parenti, Edoardo Gabbriellini, Alba Rohrwacher, Pippo Delbono.

Durata 120 min. – Italia 2009.

admin said,

Dicembre 26, 2010 @ 00:52

A me il film di Guadagnino non è piaciuto per niente, anzi mi ha irritato.
Nulla mi sembra vero, plausibile. Ne’ la protagonista che si innamora del giovane cuoco e lo confessa al marito, ne’ lo scontato cinismo del marito, ne’ la figura del figlio, buono, impotente e vittima con quella morte un po’ ridicola, ne’ le figure di secondo piano.
C’è un dramma confezionato, non approfondito, senza un sottotesto che faccia capire quali siano davvero i rapporti tra i protagonisti.
C’è una bellezza fotografica che diventa compiacimento estetico, perché esterna al tessuto della storia.
C’è la musica di John Adams in sè originale, che viene utilizzata spesso, come nota Simona Cappellini, per cercare l’identificazione emotiva dello spettatore.

Vittorio Toschi said,

Dicembre 26, 2010 @ 02:55

Un soggetto banale per uno dei migliori, a mio avviso, film italiani dell’anno, e non solo. Guadagnino crea un mondo e un’atmosfera, una partitura che scorre e che funziona bene al di là delle incongruenze narrative. Un film da vedere e un regista da seguire.

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