Festival dei Popoli. “El Sicario Room 164” di Gianfranco Rosi

di Gianni Quilici

G_EL-SICARIO-2E’ un film miracoloso, il cui limite potrebbe essere paradossalmente nella perfezione. Un uomo, col volto coperto da un velo, in una stanza d’hotel racconta la sua storia: la storia di un sicario di narcotrafficanti, comandante della polizia statale di Chihuahua, addestrato dall’FBI, libero e impunito dopo centinaia di esecuzioni sommarie e di massa, con una taglia di 250 mila dollari sulla testa.

Siamo in Messico, a Ciudad Juarez, a pochi passi dal confine con gli Stati Uniti, con il più alto tasso di criminalità, la città più pericolosa del mondo, che il regista Gianfranco Rosi ci rappresenta in campo lungo dall’alto, grande e misteriosa, come tutte le città-metropoli del mondo, di un mistero che la figura del protagonista ben delinea

Infatti la singolarità e la straordinarietà del film risiede in due aspetti così ben congegnati da risultare quasi miracolosi.

Primo: per la storia che il sicario ci racconta. Un’organizzazione, quella dei narcotrafficanti, razionale ed efficiente, che agisce secondo una gerarchia inflessibile con una spietatezza inumana nei confronti di nemici, di traditori o presunti, o semplicemente di donne concupite, ma non disponibili. Queste informazioni tuttavia si possono reperire e del resto Gianfranco Rosi le aveva lette in un articolo, pubblicato da “Harper’s magazine” dell’amico giornalista Charles Bowden.

Secondo: per la forza scenica del sicario stesso, che rende il film fuori dall’ordinario.

Lo vediamo mentre con metodo consequenziale disegna o elenca (1, 2, 3…) su un blocco i fatti o le risposte alle domande che si fa, sottolineando o scrivendo le parole che dice quasi per dare più evidenza e corpo alle “cose” stesse. Poi recita delle parti, si alza, mimando torture fantasiosamente atroci nei modi in cui si sono articolate, con il distacco e l’energia di una lezione didattica ben riuscita.

Sopratutto il protagonista sicario sa recitare quando alla fine si converte, deve cambiare personaggio: dalla spietatezza rigorosa di un nazista passa alla folgorazione, che un po’ ricorda John Belushi in “The Blues Brothers”, da implacabile assassino alla conversione, spettacolare nei modi espressivi, a Dio.

E’ realtà o fiction? Viene da chiedersi a luci spente tanto il film scorre veloce e perfetto nei toni, nelle pause, nei movimenti. Una domanda forse superflua, ma a cui comunque risponde Gianfranco Rosi. Due incontri soltanto e molta pellicola sulla città girata, ma rimasta giustamente inutilizzata.

Ottanta minuti nella stanza di un hotel con un ex sicario, la stessa stanza dove ha nascosto e ucciso alcune delle sue tante vittime, dopo averle torturate nei modi più fantasiosamente atroci.

Mentre al pubblico del film quella stessa testa resta opportunamente nascosta dietro un velo nero, ciò che dice non fa sconti. Uomini bolliti in pentola perché colpevoli di aver disobbedito al Cartello; alcool e droga senza soluzione di continuità, per fare il lavoro sporco senza lasciare fessure alle pericolose infiltrazioni della coscienza; e poi il punto di non ritorno, quando il sogno di vivere di risorse illimitate diventa incubo e raggiunge la propria casa, il proprio letto. Oggi l’ex assassino è passato agli ordini di Dio, con una conversione megalomane e spettacolare, in linea con l’enfasi che ha già ampiamente dimostrato di possedere, nella prima parte del suo racconto, quella dedicata alla vida loca, alla scalata criminale.

Rosi ha per le mani, per il suo documentario, un attore nato. Non è tanto un paradosso quanto, probabilmente, una delle ragioni che hanno reso interessante e fattibile la produzione di questo film. Il sicario della stanza 164 ravviva infatti l’esposizione della sua parabola (come se ce ne fosse bisogno…) abbandonando spesso il discorso indiretto per recitare i dialoghi tra lui e la vittima di turno o per mimare le azioni (come tirare la corda deputata al soffocamento), anuale del perfetto documentario, e Rosi non ha davvero bisogno d’altro: non di una sceneggiatura né di altri ambienti o di altri personaggi. Il sicario fa tutto da solo. Chi non fa come lui, nel mestiere, non è che un povero imitatore.

El Sicario Room 164

di Gianfranco Rosi

documentario, durata 80 min. – Italia, Francia 2010.


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