di Gianni Quilici
Ho visto il film prima di sapere del premio ottenuto a Venezia con il Leone d’oro. Mi sono sorpreso. Non sono stato a Venezia, dei film in concorso ho visto finora soltanto La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo. Somewhere mi è sembrato un film vero, tuttavia ri-visto e poco mobile nelle linee interne.
Come molti sanno Somewhere rappresenta il mondo stesso del cinema nella sua privilegiata vuotezza, attraverso uno dei divi, da cui improvvisamente e inavvertitamente scatta, infine, un dolore invisibile e forse insopportabile.
E’ quindi anche una pellicola sul tempo, sulla frammentazione del tempo, sull’inconsistenza in cui il protagonista lo vive. Così vediamo Johnny Marco, giovane, bello e ricco divo italoamericano con il volto e il fisico efficace di Stephen Dorff, imbarcare meccanicamente ragazze, girare pigramente con la Ferrari, bere, nuotare e videogiocare con gioioso infantilismo, partecipare con una pigra distaccata indifferenza a conferenze stampa, farsi fotografare, volare verso Milano, ricevere il Telegatto tra l’albergo ultra kitsch, le veline-giornaliste e il palcoscenico televisivo da avanspettacolo con l’invasione delle urla di Simona Ventura e dell’ultracorpo di Valeria Marini, che recitano efficacemente loro stesse.
Tuttavia la Coppola mostra dell’attore anche l’umanità, la bonarietà, soprattutto nel rapporto responsabile verso la vitale dolcezza della deliziosa figlia undicenne (Elle Fanning), che, per misteriosi filtri, che la pellicola appena accenna, scuote l’attore, lo mette di fronte alla inerte piattezza della sua esistenza.
Sofia Coppola lo sottolinea attraverso inquadrature statiche, avvicinamenti lentissimi della macchina da presa, in piani sequenza in cui sembra non succedere nulla, ma è quel nulla esistenziale che, in realtà, accade. Si potrebbe affermare che ci si trova di fronte ad un film fenomenologico, in cui si è partecipi del film solo se ci si “attacca” ai micro attimi di senso di fatti slegati, che non producono palpitazione narrativa.
Tuttavia è un film in cui la profondità rimane orizzontale e rettilinea, privo di dialettica, la dialettica degli opposti. Sembra, per gran parte del film, che quel mondo opulente e levigato sia l’unico possibile, se non che, improvvisamente, verso la fine ecco arrivare l’insostenibilità del vuoto, la fuga precipitosa, come atto poetico… verso che cosa?
Mi ha ricordato alla lontana Lo stato delle cose di Wenders, ma lì c’era una tensione non solo nella storia (il film nel film nel rapporto cinema commerciale- cinema d’autore ), ma anche nel linguaggio stesso: l’inquietudine di un grigio senso della fine, con la forza inquietante dell’oceano, che le scelte musicali magnificamente sottileneavano. Lì si rischiava. La Coppola rischia poco, se non gli incassi al botteghino, che non saranno straordinari, come già si intravede.
SOMEWHERE
Regia: Sofia Coppola
Sceneggiatura: Sofia Coppola
Cast: Elle Fanning, Stephen Dorff, Chris Pontius.
Musiche: Phoenix
Fotografia: Harris Savides
Montaggio: Sarah Flack
Scenografia: Anne Ross
USA 2010. Durata: 98 min
Attenta e sfaccettata la recensione, non ho visto il film e non ne sono entusiasta.
Sono d’accordo con te e non con la maggior parte della critica positiva, a parte Crespi sull’Unità e pochissimi altri. Tu tratti anche troppo bene un film che mi è sembrato più un compitino lineare e banale svolto sufficientemente che non certo un’opera degna dell’attenzione e tanto meno di un Leone d’oro (sorprendente davvero!). A chi come me ama quella cinematografia minimalista, sensibile, delicata non necessariamente narrativa consigliamo senz’altro di rivedere piuttosto Rohmer, Jarmusch e, come giustamente citi, Wenders.
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iaia said,
Settembre 16, 2010 @ 20:05Sono d’accordo con l’analisi
; aggiungerei un commento piu’ prosaico: Somewhere ovvero Anche i ricchi piangono.