Al Festival di Venezia ormai da alcuni anni c’è un muro (gestito da Giovanni Ippoliti) dal nome significativo: RIDATECI I SOLDI. Lì chiunque, addetti ai lavori e non, può esprimere il proprio disappunto per uno o più film presentati o, spesso, per una non sempre convincente gestione pratica del Festival. Questo muro è ormai diventato una piccola istituzione tanto che la migliore stroncatura viene premiata, con una semplice cerimonia, dello stesso Direttore Marco Muller.
Mi diverto spesso a leggere questi fogli, a volte davvero divertenti, altre solo pretestuosi. Quest’anno mi era cascato l’occhio, tra gli altri, su uno che recitava più o meno così: Somewhere, la storia di un uomo che non riesce a stabilire una relazione né con la propria figlia, né con la sua Ferrari, così alla fine li abbandona entrambi. Da sabato sera Somewhere, il film di Sofia Coppola, è Leone d’Oro, tra qualche fischio e disappunto, della 67 Mostra del Cinema di Venezia. In realtà l’opera della Coppola è una commedia intelligente e ben fatta, anche se lontana da quel piccolo capolavoro che fu Lost in Translation. Rimane, però, la sensazione che altre pellicole potessero ambire con maggior originalità al più importante dei premi ufficiali del Festival. Insomma l’idea che la Giuria, presieduta da un Tarantino spesso presente alle proiezioni per il pubblico (disponibile per bagni di folla, foto ed autografi, in pratica vero animatore di questo Festival avaro di celebrità) abbia optato per una soluzione, sì di qualità, ma poco coraggiosa.
Più personalità la Giuria l’ha invece dimostrata nell’assegnazione del Leone d’Argento per la miglior regia ad Alex de la Iglesia per il film Balada triste de trompeta, vincitore anche della Osella per la miglior sceneggiatura. Si tratta di un’opera visionaria, saturo anche di colori, eccessivo ed estremo, anche con alcune scene disturbanti. Il film, che in certi momenti mi ha ricordato il primo Jodorowski, parte da un antefatto nel periodo del Franchismo per raccontare la violenta, paradossale e personale guerra tra due pagliacci innamorati della stessa donna, trapezista del circo dove entrambi lavorano. Alla proiezione per il pubblico di questo film ci sono stati grandi applausi, ma anche molti, tra i quali il sottoscritto, che all’uscita non si sono sentiti del tutto convinti da quest’opera.
Niente da dire invece, a mio avviso, sulla Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Vincent Gallo (per il film Essential killing), vero anti-eroe (e anti-patico) del festival (tanto da saltare conferenze stampa e da non presentarsi a ritirare il premio) dove ha anche presentato, oltre ad un cortometraggio, l’originale, assai fischiato, ma per me bellissimo, Promises written in water.
Ho trovato, invece, assai discutibile la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Ariane Labed per il film greco Attemberg, opera lenta e poco incisiva. Poteva essere davvero l’occasione per premiare, con merito e come molti si aspettavano, la sempre più brava Alba Rohrwacher nel bel film La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo.
Infine una notazione. Tra i film da me visti, dispiace che la giuria non abbia riservato alcun premio ufficiale per il Film Potiche di Ozon, commedia convincente e divertente, con una Catherine Deneuve in grande forma.