di Maddalena Ferrari
Un film giovane del ’94, che racconta di due ragazzi del post-’68. Christine e Gilles vivono la caduta dei valori e la mancanza di speranze. Dietro di loro, il fallimento o il riflusso della generazione dei padri e delle madri; intorno a loro, una società che non li comprende e che essi non comprendono.
Le spinte che li muovono sono confuse, ma forti: ribellione, evasione, violenza gratuita; ricerca di identità e libertà, ma anche regressione, autopunizione.
Assayas guarda e accompagna il loro deragliamento lungo un cammino che li porta alla separatezza, alla solitudine, alla desertificazione dei legami con le voci, i rumori, le strutture relazionali del tempo attuale.
Ed allora un primo, precario punto di arrivo può essere ritrovarsi, insieme ad altri giovani, in una casa abbandonata, fare un grande falò vicino al fiume, bruciando vecchi mobili, fumare, lasciarsi avvolgere e trasportare dalla musica rock, che assurge qui ad un ruolo sostanziale della narrazione: Janis Joplin, Leonard Cohen, Bob Dylan sono un mondo diverso, che dà l’illusione di far nascere nuove vite…
La sequenza della festa cambia il ritmo del film, fatto fino a quel punto di un coacervo nervoso di episodi spezzati e inspiegati. La labilità psicologica, affettiva e si potrebbe dire pulsionale di Christine coincide con questo ritmo, che qui si distende, ma senza trovare pace, né uno sbocco.
Non ci sono più parole, non c’è ragione, non c’è senso.
Assayas ha lo stesso respiro dei suoi personaggi, ma, pudicamente e quasi scontrosamente, si mantiene altro da loro e del resto non dice le loro passioni né la loro disperazione. E il freddo del fiume che scorre nelle sequenze finali è lo stesso di queste vite giovani.
L’eau froide
regia Olivier Assayas
cast V. Ledoyen (Christine) • C. Fouquet (Gilles)
sceneggiatura O. Assayas
musiche H. Chauvel
fotografia D. Lenoir
montaggio L. Barnier
Francia 1994. Dur: 92 minuti